2015
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L'ecologistese - Parte II

Seconda puntata della miniserie. Gli agrofarmaci e l'ambiente: cosa c'è di vero, cosa c'è di falso

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Gli agrofarmaci nelle acque: semplice presenza o pericolo reale?

Fonte immagine: © Donatello Sandroni - AgroNotizie

Prosegue la miniserie dedicata all'"ecologistese", ovvero la lingua con cui si esprimono spesso gli ambientalisti quando trattino di agrofarmaci e salute, oppure di agrofarmaci e ambiente.
Le parole sono infatti importanti, perché trasmettono concetti e fanno prendere forma a opinioni. Se le parole sono fuorvianti nella loro stessa enunciazione, tutto ciò che sta a valle - cioè l'opinione pubblica - risulta quindi fuorviato. Nella precedente puntata si è trattato il tema dei residui nei cibi. In questa si prenderanno in esame le affermazioni più ricorrenti in materia di agrofarmaci e ambiente.


"L'uso sempre più massiccio di pesticidi!" (Traduzione: ogni anno che passa va sempre peggio e i pericoli aumentano…).

Comprensione del testo: l'affermazione mira a trasmettere l'idea che l'uso di "veleni" sia in crescita, grazie a un vocabolo, "massiccio", che resta inchiodato nella mente dell'ascoltatore assumendovi una valenza molto negativa. A dispetto però di chi sostiene che l'uso della chimica sia sempre più "massiccio", in Italia si usa il 30% in meno degli agrofarmaci che si usavano solo vent'anni fa. È semmai il business in dollari o in euro a essere cresciuto. Del resto, si usano oggi molecole decisamente più evolute che vanno applicate a dosi molto inferiori di quelle delle sostanze attive precedenti. Ciò alleggerisce di molto la densità di molecole per unità di superficie, unico parametro da considerare per capire se si usa più o meno chimica rispetto agli anni precedenti. Si usano meno tonnellate quindi, ma si vendono più dollari/euro: può apparire strano, ma non lo è, causa l'aumento dei prezzi dovuto all'evoluzione tecnologica dei prodotti. Quindi usare i grafici dei dollari/euro per far credere che sono in aumento le tonnellate non solo è sbagliato, ma è anche alquanto disonesto.

"L'Italia è il Paese europeo che consuma più pesticidi!" (Traduzione: lo vedete in che mani siamo? Ma voi vi fidate? Siamo sempre i soliti italiani…).

Comprensione del testo: considerando le sostanze attive che vengono irrorate annualmente sulle diverse colture, si è scesi ormai sotto il chilogrammo per singolo Italiano. In altre parole, per dare da mangiare tre volte al giorno a ognuno di noi (per un anno), vanno applicati meno agrofarmaci di quanta benzina venga bruciata per andare ad accompagnare i figli a scuola (una sola mattina), o per andare a un solo convegno in cui si parli dei pericoli dei "pesticidi". Inoltre, è abbastanza facile essere in testa a tali classifiche quando si abbia tutta la frutticoltura, la viticoltura e l'orticoltura che ha l'Italia. Mentre un campo di grano o di mais tedesco lo si protegge con 2-3 applicazioni all'anno, su meli, peri e peschi italiani si può infatti salire sopra le venti. Anche su vite si possono superare facilmente i 15 trattamenti. Se ciò pare strano, si consultino le patologie e i parassiti che affliggono l'Italia agricola e si capirà che c'è semmai da restare basiti di come questi trattamenti siano in effetti così pochi rispetto alle mille battaglie che si devono combattere. Non si facciano quindi paragoni fra realtà agricole fra loro pesantemente diverse.

"Le analisi delle acque sono allarmanti!". (Traduzione: dai rubinetti escono litri di veleni, ma nessuno fa nulla per la salute dei cittadini)

Comprensione del testo: ogni anno il report dell'Ispra sulle acque genera polemica e allarmi. Non certo per colpa della campagna di monitoraggio in sé, opera ciclopica che ha tutta la sua valenza tecnica, quanto per le interpretazioni monodirezionali che le vengono fornite.
L'attuale sistema normativo (Direttiva 98/83/CE) prevede limiti per le acque potabili di 0,1 µg/L, cioè microgrammi/litro, ovvero milionesimi di grammo. Nei report dell'Ispra i valori riscontrati si posizionano spesso sopra il suddetto limite. Fatto salvo che la Legge è Legge - e che va quindi rispettata finché non venga cambiata nella sua sostanza - può essere utile arricchire il ragionamento in termini comparativi, al fine di rispondere ai frequenti allarmi lanciati a causa della presenza di agrofarmaci nelle acque potabili. Presenza non è infatti sinonimo di rischio. Per stimare l'entità di quest'ultimo è necessario riferirsi ai profili tossicologici delle differenti molecole, mentre il succitato limite di 0,1µg/L è un valore puramente normativo. È stato cioè fissato senza partire da alcun presupposto di carattere tossicologico come per esempio avviene, più correttamente, circa i residui di agrofarmaci sugli alimenti. Non a caso, questi ultimi possono variare di molecola in molecola, in accordo coi rispettivi parametri tossicologici. Il limite per le acque potabili, invece, è uguale per tutte. Ciò conduce a discrepanze logiche anche profonde. Si pensi per esempio a una molecola come tebufenozide: questo insetticida mostra un residuo massimo ammesso pari a un milligrammo per chilo di mele, ma in un litro di acqua potabile dev’essere presente per Legge entro livelli 10 mila volte inferiori. Stando così le regole, detta in parole povere, per raggiungere la soglia ritenuta sicura su un chilo di mele, si dovrebbero bere dieci tonnellate di acqua.

Dall'altra parte dell'Oceano, invece, i criteri di fissazione dei limiti per le acque potabili seguono il medesimo ragionamento adottato per i residui sull'ortofrutta. Secondo quanto è consultabile sul sito dell'Environmental Protection Agency americana, i livelli ritenuti sicuri per l'Uomo delle sostanze chimiche nelle acque possono essere dalle decine alle migliaia di volte superiori rispetto a quelli europei. Dando la parola ai tossicologi, infatti, si scopre che un diserbante come glifosate è ritenuto sicuro fino a concentrazioni di 0,7 mg/L, cioè 7000 volte superiori al limite europeo. Nel report dell'Ispra 2014 questo diserbante è stato rinvenuto a 0,2 µg/L, cioè al doppio del limite di Legge fissato nel Vecchio Continente. Ciò causa in Italia polemiche e allarmi, mentre agli occhi dei normatori statunitensi significherebbe invece che di tale sostanza praticamente non se n'è trovata, essendo quel valore 3500 volte sotto il limite di Legge americano.
Proseguendo coi paragoni, un erbicida come l'atrazina, ormai bandito dal 1992 ma ancora reperito "inspiegabilmente" nelle acque italiane, ha in America un limite di 3 µg/L, ovvero trenta volte il limite europeo. Limiti molto simili fra EU e USA sono invece fissati per il benzopirene, sostanza cancerogena derivata dalla combustione della sostanza organica. Negli USA il suo limite nelle acque potabili è infatti di soli 0,2 µg/L. Come si vede, corre una profonda differenza fra un limite di Legge fissato a prescindere uguale per tutte le molecole e una molteplicità di limiti specifici, fissati molecola per molecola con un solerte lavoro di valutazione tossicologica.
L'attuale limite europeo per le acque è infatti paragonabile a quello che un ipotetico e super prudente ministro dei Trasporti fissasse in 0,13 km/h per garantire l'assoluta sicurezza sulle autostrade. In pratica, anche un podista che stesse praticando jogging violerebbe quel limite di circa cento volte. Vi è però da credere che nessuno, in tal caso, penserebbe di essere di fronte a Flash, il personaggio superveloce dei fumetti, bensì credo che tutti mediterebbero profondamente sulla coerenza e sulla logica del limite appena citato. Ben lo sanno gli amministratori pubblici che spesso si trovano fra l'incudine e il martello ogni qual volta debbano concedere deroghe al suddetto limite di 0,1 µg/L, oppure decidere di chiudere pozzi e acquedotti. Deroghe che se da un punto di vista tossicologico appaiono razionali e comprensibili, da un punto di vista mediatico vengono viste come artifizi per rendere l'acqua "potabile per decreto", come talvolta capita di leggere sui media. Casi questi che verrebbero praticamente annullati dall'adozione di nuovi limiti per le acque potabili fissati attraverso criteri tossicologici.
Così fosse, probabilmente i futuri report dell'Ispra resterebbero documenti preziosi per tecnici e amministratori pubblici, ma perderebbero qualsiasi interesse per i demagoghi dell'allarmismo ambientale. Discorsi analoghi potrebbero essere effettuati anche per quanto riguarda i limiti nelle acque superficiali. Ma questo argomento, forse, potrebbe anche meritare un articolo tutto suo.

"L'uso dei pesticidi distrugge la biodiversità..." (Traduzione: la biodiversità è buona. I pesticidi la distruggono, quindi i pesticidi sono cattivi.)

Comprensione del testo: capita spesso di leggere idiozie sugli effetti degli erbicidi, dato che uccidono tutte le piante che sussistono nei campi tranne una: la coltura agraria. C'è perfino chi vede papaveri e veroniche come poetiche integrazioni alla bellezza di un campo di grano, oppure che valuta come biodiversità la fitta popolazione di malerbe d'ogni genere che infestano un campo di mais. Peccato che la biodiversità sia un'altra cosa. Questa ce la siamo infatti in buona parte giocata nei secoli passati, sostituendo una coltura agraria a un bosco o a una prateria. Ciò che è successo dopo è solo una logica conseguenza, dal momento che se volevamo estrarre il più possibile da quelle superfici dovevamo non solo concimarle, ma anche proteggerle con agrofarmaci. Se questi non vi fossero, dovremmo perciò coltivare molta più terra di quanta se ne coltivi oggi. E qui si che la biodiversità verrebbe presa a calci una volta ancora. Quindi, al contrario di quanto si millanta, l'uso degli agrofarmaci permette di minimizzare la conversione ad agricolo dei terreni ad alto indice di biodiversità. In altre parole, aiutano a difenderla. Esattamente il contrario di quanto si suole dire.

"L'uso dei pesticidi aumenta il dissesto idrogeologico..." (Traduzione: se vi spiana la casa una collina che frana, la colpa è del maiscoltore cremonese che diserba il suo granturco)

Comprensione del testo: ogni qual volta sopravvenga un'alluvione, magari con smottamenti e frane, fra i vari responsabili vengono piazzati l'agricoltura in genere e i "pesticidi" in particolare. Ben si ricorderà l'evento tragico di Refrontolo, nel Trevigiano, di inizio agosto 2014. Anche allora fioccarono accuse pesanti, alle quali si rispose con questo articolo, cui si rimanda la lettura per gli opportuni approfondimenti. Oggi si preferisce stressare un punto spesso trascurato: la semina su sodo.
Grazie a questa pratica, la quale permette di evitare arature ed erpicature dei terreni, sono soprattutto le zone collinari a beneficiare della maggiore stabilità dei crinali coltivati. La semina su sodo trova quindi la sua massima valorizzazione ambientale proprio dove più alti siano i rischi di dissesto idrogeologico. Non a caso per questa pratica sono stati previsti sussidi nei vari Psr. Peccato che la semina su sodo divenga praticamente impossibile da seguire in assenza di agrofarmaci, dal momento che serve un diserbo totale in pre-semina, seguito da uno-due altri diserbi in post-emergenza. Pure la lotta alle patologie deve inasprirsi, perché la mancanza dell'aratura implica la permanenza in superficie di un numero maggiore non solo di semi di infestanti, ma anche di spore fungine. Del resto, l'aratura profonda era anche una forma di difesa fitosanitaria. Peccato che nelle colline marchigiane, toscane o abruzzesi le lavorazioni meccaniche siano le prime alleate dell'erosione dei suoli, uno dei primi componenti del dissesto idrogeologico. Quindi, gli agrofarmaci consentono di seguire pratiche che contrastano questo fenomeno. Pratiche che altrimenti non potrebbero essere adottate. In ultima analisi, cioè, gli agrofarmaci sono alleati della protezione dei suoli, non il contrario.


Chiariti quindi i diversi punti del contendere sui "pesticidi", è ora il turno di parlare di Ogm. Perché anche su questi l'ecologistese ha un modo tutto suo di parlare. Ma questo lo si vedrà, come si suol dire, nella prossima puntata...

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