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Riso bio, i chiaroscuri dei teli biodegradabili

Problematiche sulla profondità di semina e sulla capacità di rincalzo del telo, ma numerosi vantaggi nel controllo delle infestanti: guarda il video

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Per il controllo delle malerbe fra un film e l'altro si utilizza comunque manodopera

Fonte immagine: © Alba Drone Service di Alessandro Piccolo

Gli orticoltori conoscono bene la tecnica, per la coltivazione del riso invece è solo di recente che è stata introdotta la pacciamatura con telo biodegradabile per il controllo delle infestanti, quando si lavora in regime di biologico.
Il primo a crederci è stato Giovanni Vignola, titolare della riseria Vignola che ha sede nell'alessandrino, Piemonte. Quest'anno gli ettari pacciamati con teli Mater-Bi sfiorano i mille, le varietà vanno dalle precoci alle tardive.

Ciò che resta del telo, a fine ciclo, ha detto Manuela Impallari, market developer agricoltura per Novamont, va interrato. "Saranno i microrganismi presenti naturalmente nel terreno a trasformare il film plastico in acqua, anidride carbonica e biomassa".

Per l'utilizzo di questa tecnica, molto importante è preparare perfettamente la risaia che deve essere "ben dissodata e laserata", ha specificato Rino Bavoso, responsabile delle attività agricole per Vignola, mentre la concimazione avviene interamente nella fase di pre-semina e si utilizza una concimazione leggera.

"Quest'anno, a differenza del 2016, per la distribuzione del telo, abbiamo utilizzato una macchina combinata che stende il telo, buca il film plastico e semina, tutto contemporaneamente", ha detto Giovanni Vignola e ha continuato: "Questa è la chiave di volta".
Nel 2016 infatti, la macchina utilizzata non seminava e si era quindi proceduto a semina manuale, 60 le persone impiegate. Oltre ad avere il vantaggio della nuova macchina, ancora comunque da perfezionare (sono undici le macchine ad oggi all'opera nei terreni Vignola), è stato scelto nel 2017 di stendere teli della larghezza di due metri e venti, riducendo così lo spazio fra una fila e l'altra e quindi aumentando la superficie coltivata (si arriva all'85%).

Diversi i problemi ancora da affrontare e risolvere: "Quello più grosso - ha spiegato ancora Bavoso - è la profondità di semina che dipende dal terreno. Se il seme è depositato troppo in superficie non germina, se è troppo in profondità si rischia che marcisca. Da tarare anche la capacità di rincalzo del telo, da parte della macchina. Nel 2016 il vento ci ha fatto vela in diversi casi, strappando i teli".

Per il controllo delle malerbe fra un film e l'altro si utilizza comunque manodopera, in campo nei quasi mille ettari ci sono, nel 2017, 25 persone. Quest'anno è stato anche diminuito lo spessore del telo, passando da 15 micron a 10 micron, e anche questa scelta influisce sui costi da sostenere.
La produzione ad ettaro sarà in ogni caso inferiore a quella con sistema tradizionale ma bisogna tenere conto del fatto che si utilizza molto meno seme e la remunerazione riconosciuta per il riso bio è di molto superiore.

"La densità di semina è ora intorno ai 40 kg a ettaro, circa l'80% in meno rispetto al convenzionale", ha continuato Vignola. "L'anno scorso, con teli più stretti, abbiamo raggiunto punte di produzione di cinque tonnellate ha. Comunque non bisogna lamentarsi, siamo in regime bio e il valore del raccolto ripaga lo sforzo. Al momento, in termini di costi, ciò che pesa di più è il film plastico biodegradabile, ovviamente da ricomprare ogni anno, mentre i macchinari pensiamo di ammortizzarli in quattro anni".
Il costo medio dei teli, secondo quanto riferito da Novamont, si aggira fra i 10 e gli 11 centesimi a metro quadrato, molto però dipende dalla trattativa privata.
 

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