2017
19

La primavera non è più silenziosa

Interviste impossibili: parla la primavera. Dopo Silent Spring di Rachel Carson anche la stagione dei fiori e della pioggia è bene che esponga le proprie ragioni

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Le interviste impossibili: oggi è il turno della primavera

Nel 1962 venne pubblicato il libro “Silent spring”, in italiano primavera silenziosa. Rachel Carson, morta nel 1964 a soli due anni dalla pubblicazione del suo volume, ebbe un effetto dirompente per l’epoca, venendo ancora oggi citata insieme al suo libro da chiunque intenda lanciare strali contro gli agrofarmaci, perfino i più attuali. Peccato che tali citazioni giungano per lo più a sproposito, caratterizzandosi per anacronismo e scollamento dalla realtà dei fatti. La primavera stessa cercherà di chiarire le differenze fra quanto accadeva negli anni '60 e l’attuale rapporto fra agricoltura e ambiente.
 
Sono ormai passati 53 anni da quando l’ecologista Rachel Carson passò a miglior vita, a soli due anni dalla pubblicazione del suo libro “Silent spring”, primavera silenziosa. In esso descriveva campagne deserte, silenziose appunto, perché ogni forma di vita sarebbe stata spazzata via dai pesticidi, uno su tutti il ddt. Davvero stavano così le cose?
In mezzo secolo il mondo è cambiato molto, a volte in peggio, altre in meglio. Tanto per dire, l’anno 1964, quando Rachel Carson spirò, era anche quello della Fiat 850 e della terza serie della Fiat 600. Il francese Jacques Anquetil vinceva il Giro d’Italia, in un Belpaese che nello stesso anno avrebbe visto anche il battesimo dell’Autostrada del Sole e del traforo del San Bernardo. In agosto passava invece a miglior vita Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano. Nello sport Cassius Clay batteva Sonny Liston per il titolo dei pesi massimi e pochi giorni dopo si convertiva all’Islam assumendo il nome di Muhammad Alì. Capisce che molti giovani di oggi di quanto sopra conoscono dal poco al nulla? Guardare oggi agli scenari degli anni ‘60 senza ragionare con la testa di quel periodo ha quindi ben poco senso. E poi no, le cose non erano così drammatiche come descritto. Non belle, ma neanche catastrofiche come paventato. Altrimenti io e Lei non saremmo qui a parlarne, non trova?
 
Se è per questo, eravamo anche nel bel mezzo della guerra del Vietnam, nella quale l’esercito americano utilizzò napalm e agente orange per snidare i Vietcong.
Appunto. Sembra di parlare di un’era geologica fa. Mi scuso con Lei, vista la data di nascita, la stessa della morte di Rachel Carson, ma devo dire che negli ultimi 50 anni le cose sono cambiate a una velocità impressionante. Lei stesso ha citato l’agente orange, miscela di due erbicidi. Un coinvolgimento della chimica agraria che ha marcato l’intero settore per sempre”.
 
Anche perché all’epoca gli strumenti a disposizione degli agricoltori non erano certo abbondanti.
Anzi, direi il contrario. In agricoltura esistevano ancora ben pochi preparati atti a difendere le colture. Il 2,4-D, uno dei componenti dell’agente orange, appunto, era all’epoca un innovativo erbicida per i cereali. Tanto innovativo ed efficace che il Governo degli Stati Uniti d’America ne acquistò a fiumi per spargerlo come defoliante in Vietnam. In quel frangente drammatico, però, il famigerato agente orange sarebbe da considerarsi a pieno titolo non tanto come agrofarmaco, bensì come strumento di guerra. Usato nella jungla per scopi bellici stava ai due diserbanti per uso agricolo come mr. Hyde a Dr. Jekill”.
 
E il 2,4-D ancora oggi compare in diverse miscele, mostrando ancora un’eccellente valenza tecnica. E sulle altre colture? Ricorda qualche nome?
“Su mais impazzava l’atrazina, ancora oggi impiegata in molti paesi al mondo, seppur con alcune limitazioni, mentre fra gli insetticidi venivano usate per lo più molecole organoclorurate, come il ddt e l’esaclorocicloesano, insidiate però da un altro prodotto di sicura efficacia e di minor persistenza dal nome parathion. Talmente letale da abbattere praticamente tutto quello con cui entrava in contatto. Però persisteva pochissimo rispetto al ddt”.
 
Tutto sommato, con tali prodotti non è che si potesse fare molto in ottica ambientale, non trova? Forse le istanze della Carson non erano mica peregrine dopotutto…
Certo che no, ma direi proprio che non si poteva fare alcunché di diverso. La domanda di cibo aumentava in modo esponenziale e per difendere le colture quello c’era e quello si doveva utilizzare. Al di là però delle molecole impiegate, erano le modalità d’uso che avevano ampi margini di miglioramento. Se oggi è divenuto normale utilizzare trappole a feromoni e modelli previsionali, funzionali alle pratiche di lotta guidata e di lotta integrata, nel 1964 quella che andava per lo più in voga era la lotta a martello. Si trattava cioè a calendario, ogni pochi giorni, miscelando più prodotti contemporaneamente sia che ve ne fosse bisogno, sia che non ve ne fosse alcuno. Quale risultato si otteneva certamente la massima protezione delle rese, infatti queste si moltiplicarono rapidamente, ma dal punto di vista ambientale e della salute degli utilizzatori non si poteva certo dire di essere al top”.
 
Quindi è vero che a quei tempi Lei era ridotta praticamente al silenzio?  
Macché. Se la immagina una campagna priva di forme di vita al punto da rendermi del tutto taciturna e meditabonda? Certo, alcune specie sono state minacciate, altre addirittura sono andate perse a causa di molteplici fattori. Ma alla fine gli scenari non erano affatto quelli ipotizzati dalla Carson. Ricorda la paventata estinzione imminente delle rondini?
 
La ricordo eccome: ero bambino quando se ne annunciava l’imminente scomparsa dal globo per colpa dei pesticidi.
Ecco. Sono scomparse le rondini, a distanza di quasi 50 anni?
 
No.
Appunto. Lei sta a Cremona, no? Provi ad andare a Piacenza, vicino a Palazzo Farnese, o a Castell’Arquato, in mezzo a vigneti e altri campi coltivati. In estate ne vedrà volare in gran copia, semplicemente perché lì ci sono costruzioni che permettono loro di nidificare. Coi proclami catastrofisti non si è mai andati molto lontani. Eppure vedo che anche oggi di annunci da fine del mondo ne abbondano parecchi, basti pensare alle api. Perfino Einstein hanno tirato in ballo. Ma secondo Lei, con tutte le aree rifugio che vi sono, non trattate e non urbanizzate, si può parlare davvero di estinzione globale? Guardi, questa foto l’ho scattata a Sestriere. Finché avremo prati con un tale livello di biodiversità, direi che di estinzione non se ne potrà parlare. E poi di api ne allevate perfino voi umani. Paventarne la completa estinzione sarebbe come temere la scomparsa di vacche, maiali e tacchini. Ecco, se magari l’uomo smettesse di costruire e asfaltare, forse qualche problema in meno ci sarebbe. Pensi che in un solo secolo la Sua amata Italia ha visto dimezzare il suolo agricolo disponibile. Per contro si sono moltiplicate le città, le strade, le industrie, le automobili, i campi elettromagnetici, gli aerei… Dare la colpa sempre all’agricoltura non le sembra alquanto irrazionale?”.
 
La biodiversità è la migliore alleata delle api

Certamente, però di specie a rischio o già estinte ammetterà che ve ne sono molte.
Come detto, di impatti ve ne sono stati molti e pesanti. Però Le chiedo, quanti sarebbero stati disposti ad attivarsi, fare petizioni e offrire donazioni per salvare la Labidura herculeana, oppure il Tachybaptus rufolavatus?
 
E chi o cosa sarebbero, mi scusi?
“Lo vede? Manco Lei lo sa che sono due animali estinti. Il primo è un insetto, la forbicina gigante o forbicina di Sant'Elena, estintasi nel 1967. Il secondo è un uccello, il Tuffetto del Delacour, dato per estinto nel 2010. E come loro ce ne sono moltissimi altri, per tutto il pianeta. Solo che a livello di appeal popolare contano zero rispetto alle api o alle rondini. È marketing anche questo, my friend…”
 
Non me ne parli. Metà del mio tempo viene dedicato proprio a questo. Ma Lei, Signora Primavera, come ha vissuto la transizione della chimica agraria dagli anni '60 ai giorni nostri?
Gli anni passarono in fretta dalla pubblicazione di quel libro. Vennero registrate molecole di gran lunga più selettive, meno tossiche e meno persistenti nell’ambiente. La tecnica si sviluppò di pari passo, anche grazie ai nuovi prodotti registrati, i quali consentirono di fatto un profondo cambio di paradigma nei programmi di difesa, in cui perfino i prodotti più attempati vennero impiegati con criteri ben diversi da quelli del passato. Ed è anche grazie ai nuovi agrofarmaci se nei primi anni ‘90 nacquero i disciplinari di produzione integrata, mentre di lì a poco sarebbe partito il processo noto come revisione europea. Quello che di mille molecole in circolazione ne ha fatte sopravvivere solo 300. E poi la Direttiva ‘Uso sostenibile’, il Pan, il Greening… Il mondo vi è letteralmente cambiato sotto i piedi, ma pare siano in molti che di ciò non se ne sono minimamente accorti. O fanno finta di, ovviamente”.
 
Quindi se n’è accorta perfino Lei, che è una stagione, che è cambiato tutto rispetto a 50 anni fa?
Che vuol dire ‘perfino Lei’? Se non me ne accorgo io che è cambiato tutto chi dovrebbe accorgersene? Fra l’agricoltura e la fitoiatria di allora e quella attuale intercorre la medesima differenza che passa fra la summenzionata Fiat 850 e una moderna automobile Euro 6, con airbag, aria condizionata, filtro antiparticolato ed emissioni pari a circa un cinquantesimo di quelle dell’epoca. In più, mentre le automobili si sono moltiplicate per quantità e chilometri percorsi, i trattamenti con agrofarmaci si sono andati riducendo per numero, tossicità e carichi ambientali. Attaccare gli agrofarmaci di oggi sbandierando quelli di ieri è un po’ come attaccare le auto super moderne che circolano sulle strade attuali, elencando i difetti della Balilla e della Topolino”.
 
Conosce la Balilla e la Topolino?
Eccome, inquinavano come ciminiere, erano rigide, senza comfort, rumorose. Quando passavano loro per le strade di campagna altro che primavera silenziosa. Di baccano ce n’era anche troppo. E quel fumaccio, quanta puzza lasciava…”
 
Quindi il passato era tutt’altro che quello spaccato bucolico tanto in voga oggi?
Ma figuriamoci. Si stava tutti molto peggio, me inclusa. Inquinamenti di tutti i tipi, urbani, industriali, edilizi, agricoli. Un massacro continuo. Capisco che vi dovevate risollevare dopo la guerra, ma direi che avete proprio esagerato”. 
 
Quindi il mondo è cambiato e parecchio. Nonostante ciò - e contro ogni evidenza - continuano a fioccare le citazioni del libro di Rachel Carson.
Me ne sono accorta. Ogni tanto guardo giù e vedo che quel libro continua a tornare a galla come un tappo di sughero. Quasi fosse stato scritto ieri. Oggi per dare addosso a glifosate, domani ai neonicotinoidi, dopodomani a terbutilazina o a qualche fungicida come mancozeb, ditianon o folpet. Il metodo è ormai chiaro: spaventare il cittadino di oggi facendogli credere che nulla è cambiato rispetto ad allora e che la sua salute e il suo ambiente sono esposti a pericoli inimmaginabili. Il tutto, nonostante le aspettative di vita si siano allungate, vi siate alzati in 150 anni di 15 centimetri, come pure la sicurezza alimentare sia sempre più robusta e monitorata. Un’assurdità che fatico a spiegarmi”.
 
E questo per l’uomo. Ma per l’ambiente, che dovrebbe essere la Sua prima preoccupazione?
Certo, è migliorato anche l’impatto ambientale. Da un ddt che persisteva decenni e si accumulava lungo la catena trofica, data la sua predilezione per le materie grasse, siamo passati a prodotti che degradano in poche settimane o mesi e che non migrano nell’ambiente al punto di essere trovati in cima al Tibet o al Polo Nord, come faceva il tanto vituperato organoclorurato dei tempi che furono”.
 
Quindi cosa è possibile fare per restituire la corretta immagine dell’attuale scenario?
Per capire quanto siano farlocche le citazioni odierne di ‘Silent Spring’ non serve essere agronomi o ecotossicologi, oppure esperti di dinamiche di popolazione di animali selvatici. Basta vivere in campagna e ascoltare il baccano che innescano gli uccelli all’alba, in primavera ed estate, proseguendo poi fino al tramonto alternandosi per genere e specie, per lasciare infine spazio ai rapaci notturni. Intorno ai fiori di tiglio il ronzio di api è la colonna sonora dominante per ore e ore, mentre le rane gracidano per canali e scoline, fra grilli e cicale che friniscono, scoiattoli che attraversano la strada e picchi che scavano buchi nei tronchi. Il tutto, non in qualche riserva naturale, ma in mezzo a un’agricoltura fra le più intensive di tutte, tipo quella della provincia di Cremona, la Sua”.
 
Quella descritta sempre come “brutta”, “sporca” e “cattiva”.
Esatto. E pensi che in quella di Brescia, confinante, è stato appena rilevato il ritorno di un uccello raro, ottimo indicatore di salute ambientale, quale il Cuculo dal ciuffo. Una buona notizia, no?”.
 
Certo che è un’ottima notizia, anche se confesso che nemmeno del suddetto cuculo saprei dire alcunché. Quindi la situazione non è così tetra come viene fatta apparire?
Diciamo che vi sono margini di miglioramento, ma forse è così che da troppe parti si ha interesse che appaia. E non avendo argomenti solidi attuali per sostenere le proprie campagne diffamatorie, si deve ricorrere ai best seller del passato, quando invece di ragioni per protestare in effetti pur ve ne erano diverse”.
 
Per concludere, Le posso chiedere un consiglio da dare ai lettori?
Certamente. La prossima volta che vedrete citare la ‘Primavera silenziosa’ di Rachel Carson, invece di bervela tutta di un fiato, andateci davvero in campagna, date un’occhiata e tendete l’orecchio. Sarà sufficiente per farvi comprendere che a stare in silenzio, alla fin fine, ci siete solo voi. E poi traetene, altrettanto da soli, le debite conclusioni”.
 
Un consiglio facile da seguire. Magari però andateci a piedi o in bicicletta, non in macchina, perché inquina e fa rumore. Meno della Balilla e della Topolino, ma ne fa.

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