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Glera resistente a peronospora e oidio, un sogno vicino alla realtà

I ricercatori del Crea di Conegliano raccoglieranno quest'anno i primi acini di Glera resistente a peronospora ed oidio. Un passo importante che potrebbe cambiare il modo di fare viticoltura nella zona del prosecco

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Il progetto Gleres a cui partecipa il Crea Viticoltura ed enologia e Confagricoltura Treviso (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Stillkost - Fotolia

Saranno in tutto 60mila le piantine di vite ottenute dall'incrocio di Glera con parentali resistenti a peronospora e oidio che saranno messe a dimora nell'ambito del progetto Gleres, a cui partecipa il Crea Viticoltura ed enologia e Confagricoltura Treviso. Un numero impressionante di piante tra le quali, è la speranza dei ricercatori, ci sarà qualche nuova varietà che avrà ereditato i tratti interessanti della Glera e i caratteri di resistenza alle malattie fungine.

"Le piante che vengono selezionate devono avere almeno due geni di resistenza", spiega ad AgroNotizie Riccardo Velasco, direttore del centro Crea di Viticoltura ed enologia. "Generalmente sono un gene di resistenza a peronospora e uno ad oidio, ma possono avere anche due geni di resistenza a un singolo patogeno, o anche di più".
 

Un primo risultato che viene da lontano

Il miglioramento vegetale effettuato tramite incrocio ha tempi molto lunghi e richiede uno sforzo operativo non indifferente. I primi incroci tra Glera e polline di vite resistente risalgono infatti al 2014. I semi ottenuti dagli incroci sono stati fatti poi germogliare in serra nel 2015 e fatti crescere in vaso in condizioni protette. Già in questa fase è stato fatto un primo screening attraverso marcatori molecolari per essere sicuri che la progenie avesse ereditato i tratti di resistenza interessanti.

Nel 2017 le viti sono state poi trasferite in campo e qui si sono sviluppate per tre anni fino ad arrivare ad oggi, il 2020, quando le prime 600 piante dovrebbero produrre le prime uve. Uve che questo settembre verranno raccolte e valutate. La crescita della pianta è sempre monitorata per escludere le viti meno promettenti e dei 600 esemplari solo le uve di 50-100 viti verranno trasformate in mosto che verrà poi analizzato secondo diversi parametri.

Le viti che supereranno il 'test del mosto' accederanno alla fase successiva: il prossimo anno con gli acini prodotti dalla decina di piante selezionate verranno fatte delle micro-vinificazioni. Allora sì che si potrà mettere a confronto il vino proveniente da Glera e quello invece prodotto dal suo parente resistente, che non si può fregiare del titolo di Glera in quanto frutto di un incrocio.

Ma il lavoro di miglioramento genetico non si ferma qui. Già, perché il prossimo anno entreranno in produzione altre 4mila viti e anche queste dovranno essere testate in campo, poi a livello di mosto e infine di vino. In tutto il progetto prevede di far germinare e testare 60mila viti, 12mila delle quali saranno fatte crescere in campo e solo per una piccola frazione si arriverà alla micro-vinificazione.

E mentre si effettuano i test su mosto e vino, delle viti più promettenti vengono prese delle gemme per la propagazione. Le viti selezionate per la sperimentazione successiva verranno poi piantate in aziende viticole rappresentative dei diversi areali della zona del prosecco: collina, mezza collina e pianura. L'obiettivo è quello di verificare l'adattamento della nuova varietà ai microclimi e terreni locali. Solo quelle che anche in condizioni di campo aperto avranno dimostrato di avere ottime performance saranno poi moltiplicate per test su larga scala e, si spera, avviate alla commercializzazione.
 

Il ruolo della Glera resistente in una produzione sostenibile

Se tutto andrà come programmato alla fine si dovrebbe avere una manciata di nuove varietà, molto simili alla Glera, ma portatrici di tratti di resistenza. Che tuttavia si dovranno scontrare con i disciplinari di produzione. Già, perché oggi per produrre prosecco serve un 85% di uve da Glera. "Credo che questi vitigni resistenti potrebbero trovare spazio in quel 15% di uve non-Glera che il disciplinare ammette e che oggi vede soprattutto l'uso di Pinot o Chardonnay", spiega Velasco. "Sarebbero vitigni che si potrebbero coltivare in quelle aree sensibili, magari vicino ai centri abitati, perché non richiedono trattamenti e sarebbero quindi maggiormente accettati dalla popolazione".

Perché tutto questo sia possibile serve il via libera da parte dello Stato, che deve autorizzare le nuove varietà, e dal consorzio di tutela, che deve accettarne l'impiego. Improbabile invece una sostituzione totale dell'attuale Glera con quella 'resistente'. "Per quanto si possa essere bravi e fortunati è abbastanza difficile avere dei vitigni così simili all'esistente da sostituirli. Non è da escludere, magari nel lungo periodo, ma non è certamente probabile".

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