Oidio delle Solanacee Leveillula taurica, Erysiphe taurica, Leveillula solanacearum, Leveillula taurica f. sp. cynarae, Oidiopsis sicula, Oidiopsis taurica, Ovulariopsis cynarea

Classificazione: Funghi > Oidio

L. taurica rappresenta lo stadio ascoforo dell'Oidiopsis taurica. Vive a spese di varie essenze vegetali come melanzana, peperone, pomodoro e carciofo.

Danni provocati da questa malattia sono stati segnalati in tutto il bacino mediterraneo, comprese le aree meridionali italiane.

Rispetto a quasi tutti gli altri agenti del mal bianco, L. taurica ha micelio prevalentemente interno nelle prime fasi infettive. I conidiofori fuoriescono dagli stomi (nelle solanacee) e sono semplici o poco ramificati.

I conidi sono ialini, unicellulari, cilindrici (ad eccezione di quello apicale), delle dimensioni di 60 x 15 micron, solitari o in catene di pochi elementi.

Il primo conidio apicale è di maggiori dimensioni e di forma appuntita all'estremità distale.

O. cynarae colpisce prevalentemente cardo e carciofo cagionando anche danni di entità rilevante. Le parti di pianta colpite si ricoprono di una massa dalla consistenza farinosa formata da abbondanti filamenti fungini ialini, ramificati, del diametro di circa 5 micron e dotati di appressori lobati; da questi emergono conidiofori lunghi fino a 400 micron, semplici o ramificati, che producono i conidi. Questi sono ialini, unicellulari, portati singolarmente o in corte catene, di varia forma.

 

Biologia

L. taurica  si perpetua sulle piante ospiti coltivate e su numerose essenze spontanee.

Si diffonde grazie ai conidi, trasportati dalle correnti d'aria. Giunto a contatto con l'ospite il conidio germina, emettendo un appressorio che entra direttamente nelle foglia, perforando l'epidermide, o attraverso gli stomi.

il micelio, irregolare o sinuoso, occupa il mesofillo, generando degli austori che penetrano nelle cellule. Infine differenzia i conidiofori che fuoriescono dagli stomi in gruppi di 4-5.

L'optimum per lo sviluppo della malattia è rappresentato da temperatura di 20-25°C e umidità relativa attestata sul 70-75%; andamenti climatici caldi e senza pioggia favoriscono quindi l'insorgere della patologia.

Su pomodoro l'infezione è più frequente su piante vecchie e/o deperite; le foglie più giovani solitamente non sono attaccate dal parassita.

O. cynarae si conserva, nell'arco dell'intero anno, sulle piante infette, rimanendovi come micelio vitale anche nei momenti meno favorevoli al suo sviluppo.

Nelle carciofaie del Sud Italia l'alterazione compare sulle colture primaticce, nel mese di settembre, ottobre e novembre. Il sopraggiungere del periodo invernale (basse temperature e piovosità più o meno intensa) mitiga la virulenza del parassita, che torna ad alzarsi all'inizio della primavera, sulle colture tardive. L'alterazione risulta favorita da andamento climatico dolce con elevata umidità relativa. Condizioni ottimali sono temperature prossime ai 20°C e umidità relativa su valori del 70-80%. Lo sviluppo del patogeno si arresta quando le temperature medie tornano al di sotto dei 10°C.

 

Danni causati

L. taurica colpisce in modo particolare le foglie. Sulla loro pagina superiore si palesano macchie giallastre, dai contorni sfumati, che successivamente necrotizzano a partire dalla zona centrale. In corrispondenza di tali macchie, sulla pagina inferiore, fa la sua comparsa una efflorescenza farinosa prima bianca e successivamente di colore giallino.

I lembi fogliari si accartocciano e disseccano con il progredire dell'infezione.

O. cynarae  può attaccare piante di carciofo di ogni età, lasciando solitamente intatte le foglie più giovani e interne. Le foglie colpite, sulla pagina inferiore, mostrano delle chiazze poco definite, ricoperte da una efflorescenza farinosa, prima bianco-candida e successivamente giallastra. Col progredire dell'infezione dette chiazze tendono ad allargarsi, confluendo fino ad occupare buona parte del lembo. I tessuti colpiti finiscono per necrotizzare fino a lacerarsi.

Ad avvizzimento avanzato le estremità distali del rachide e delle nervature laterali raggrinziscono e si accartocciano verso l'alto, conferendo alle foglie un'aspetto rimpicciolito rispetto alle loro dimensioni normali. L'alterazione dell'apparato fogliare influisce sullo sviluppo dei capolini che risultano di pezzatura inferiore e meno turgidi del normale, finendo sovente per avvizzire a loro volta.

 

Interventi agronomici

Razionalizzare gli interventi irrigui e le fertilizzazioni azotate. Evitare l'adozione di sesti di impianto troppo fitti.

 

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