2020
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Agrofarmaci, quando è l'origine (biologica) a fare la differenza
Da parte delle aziende dell'agrochimica c'è un interesse crescente verso le soluzioni di origine biologica per la difesa delle culture. E per cercare di soddisfare le richieste della filiera si moltiplicano gli investimenti in startup
Lo scorso marzo Syngenta Venture, il fondo di corporate venture capital di Syngenta, ha investito in WeedOut, una startup israeliana che sta sviluppando un sistema di diserbo biologico. È questo l'ultimo di una serie di investimenti fatti da parte delle aziende dell'agrochimica in realtà innovative che stanno sviluppando prodotti di origine biologica.
Come sottolineato anche da Brett Bergmann, coo di Bayer, e Mathias Muller, responsabile dell'Open innovation di Corteva, incontrati a Londra lo scorso ottobre in occasione del World Agri-Tech Innovation Summit (di cui AgroNotizie è partner), la richiesta da parte dei consumatori di utilizzo di prodotti maggiormente sostenibili sotto il profilo ambientale ha spinto i player del settore a diversificare il proprio portafoglio.
L'obiettivo, che talvolta sembra un miraggio, è quello di sviluppare prodotti di origine biologica (ottenuti cioè da piante o microrganismi) che assicurino l'efficacia e l'affidabilità del chimico di sintesi. C'è infatti la convinzione tra i consumatori che l'origine 'naturale' assicuri automaticamente una maggiore sostenibilità ambientale. Equazione non sempre vera.
I ricercatori della startup intendono prelevare il polline delle varietà resistenti, renderlo sterile e impollinare successivamente le malerbe in campo. Se tutto funzionerà come sperano il polline sterile impedirà la riproduzione delle infestanti resistenti andando così nel tempo ad esaurire la banca semi del terreno.
La sfida non è solo rendere tale processo efficace, ma anche renderlo economicamente sostenibile. L'intuizione d'altronde non è certo nuova, da anni si impiega la tecnica del maschio sterile per controllare popolazioni di insetti dannosi, come ad esempio la mosca della frutta.
Oggi tutte le grandi aziende della chimica o della meccanica hanno propri fondi di investimento o investono direttamente in startup proprio con questo obiettivo. Basta osservare i dati pubblicati nel report 2019 di AgFunder per avere una idea delle dimensioni del business.
Lo scorso anno sono stati investiti 7,6 miliardi di dollari nel settore AgTech, con una crescita dell'1,3% sull'anno precedente. E il 6% degli investimenti totali in FoodTech e AgTech, pari a 19,8 miliardi, sono andati proprio allo sviluppo di questo nuovo genere di prodotti.
Lo scorso anno sono stati fatti investimenti in startup come Provivi, Vestaron, AgroSafe e Greenlight. E le Koch industries, conglomerata industriale statunitense con interessi in vari settori, ha lanciato una divisione biologica nel 2014 (Koch biological solution) che ha inanellato una serie di investimenti proprio per cementare la sua posizione in questo segmento.
Come sottolineato anche da Brett Bergmann, coo di Bayer, e Mathias Muller, responsabile dell'Open innovation di Corteva, incontrati a Londra lo scorso ottobre in occasione del World Agri-Tech Innovation Summit (di cui AgroNotizie è partner), la richiesta da parte dei consumatori di utilizzo di prodotti maggiormente sostenibili sotto il profilo ambientale ha spinto i player del settore a diversificare il proprio portafoglio.
L'obiettivo, che talvolta sembra un miraggio, è quello di sviluppare prodotti di origine biologica (ottenuti cioè da piante o microrganismi) che assicurino l'efficacia e l'affidabilità del chimico di sintesi. C'è infatti la convinzione tra i consumatori che l'origine 'naturale' assicuri automaticamente una maggiore sostenibilità ambientale. Equazione non sempre vera.
La sfida di WeedOut
WeedOut, la startup israeliana su cui ha investito Syngenta, sta lavorando a quello che viene definito il primo erbicida biologico specie-specifico. La soluzione individuata dal team creativo è destinata al controllo delle malerbe che oggi hanno sviluppato una resistenza ai principali erbicidi chimici sul mercato, come ad esempio il glifosate.I ricercatori della startup intendono prelevare il polline delle varietà resistenti, renderlo sterile e impollinare successivamente le malerbe in campo. Se tutto funzionerà come sperano il polline sterile impedirà la riproduzione delle infestanti resistenti andando così nel tempo ad esaurire la banca semi del terreno.
La sfida non è solo rendere tale processo efficace, ma anche renderlo economicamente sostenibile. L'intuizione d'altronde non è certo nuova, da anni si impiega la tecnica del maschio sterile per controllare popolazioni di insetti dannosi, come ad esempio la mosca della frutta.
Diversificare l'opportunità di business
La strategia di investimento dei fondi vc non è certo quella di puntare su poche ma sicure aziende, quanto diversificare il più possibile gli investimenti con la speranza che un numero non troppo esiguo di aziende sviluppi un prodotto di successo.Oggi tutte le grandi aziende della chimica o della meccanica hanno propri fondi di investimento o investono direttamente in startup proprio con questo obiettivo. Basta osservare i dati pubblicati nel report 2019 di AgFunder per avere una idea delle dimensioni del business.
Lo scorso anno sono stati investiti 7,6 miliardi di dollari nel settore AgTech, con una crescita dell'1,3% sull'anno precedente. E il 6% degli investimenti totali in FoodTech e AgTech, pari a 19,8 miliardi, sono andati proprio allo sviluppo di questo nuovo genere di prodotti.
Lo scorso anno sono stati fatti investimenti in startup come Provivi, Vestaron, AgroSafe e Greenlight. E le Koch industries, conglomerata industriale statunitense con interessi in vari settori, ha lanciato una divisione biologica nel 2014 (Koch biological solution) che ha inanellato una serie di investimenti proprio per cementare la sua posizione in questo segmento.