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Glifosate e il grande business dell'allarmismo: orco o incompreso?

L'erbicida più famoso al mondo è davvero il pericolo che dipingono o è solo vittima di allarmismi e battaglie ideologiche? Tra scienza, tribunali e fake news, Donatello Sandroni smonta i miti e svela la verità su una molecola che divide

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La rappresentazione del glifosate sotto forma di un orco spaventoso secondo l'intelligenza artificiale

Fonte immagine: AgroNotizie® - generata con intelligenza artificiale - Dall-E 3 febbraio 2025

Glifosate, l'erbicida più famoso (e discusso) del pianeta, è una sostanza capace di far crescere polemiche più veloci delle erbacce che combatte.

 

Per orientarci in questa giungla di accuse, studi, battaglie legali e bufale, Donatello Sandroni, autore e giornalista di AgroNotizie®, è tornato con il secondo capitolo di Orco Glifosato, un libro che promette di fare luce su uno dei temi più discussi in agricoltura, ambiente e salute.


Questa volta Sandroni ha risposto come autore e non come collega della redazione e non ha lasciato nulla al caso: dai tribunali americani agli ecosistemi acquatici, dagli studi sul microbiota fino al 2033, anno in cui il destino del glifosate in Europa sarà riscritto. Infatti, il libro si spinge anche nel territorio delle battaglie legali che hanno coinvolto Monsanto e Bayer, offrendo una disamina di come la scienza e la giustizia si siano scontrate in questa vicenda.

 

Oggi, con il suo stile, ci svelerà qualche retroscena sul libro.

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La copertina del secondo capitolo di Orco Glifosato

(Fonte: Donatello Sandroni)

 

Il glifosate risponde (senza filtri)

Secondo capitolo di Orco Glifosate. Perché, dopo il primo, hai deciso che il mondo agricolo avesse bisogno di un sequel?
"Il primo Orco Glifosato, pubblicato cartaceo in proprio nel 2018 (esaurito), era ormai superato dagli eventi e per contenuti. Quindi serviva un adeguato aggiornamento, questa volta come ebook, versione di più facile ed economica gestione rispetto a una cartacea dalla difficile e incerta distribuzione. Questo nuovo libro mi è infatti già costato molti mesi di lavoro extra, poiché i temi da trattare o da aggiornare erano davvero molti. Rimetterci pure, magari anche no. Per quanto ciò ti possa stupire, col senno di poi non sono infatti mica sicuro che il mondo agricolo sentisse davvero il bisogno di questo sequel. Da tempo mi sono infatti accorto che i bisogni percepiti da aziende e agricoltori spesso non collimano con i loro bisogni reali. Mi spiego meglio: il contingente, con i suoi problemi dell'oggi, assorbe gran parte delle attenzioni dei protagonisti del mondo agricolo, siano essi normatori, produttori, tecnici o aziende del settore. Lo sguardo all'orizzonte lo tengono in pochi, troppo pochi. Se oggi siamo arrivati a fronteggiare le difficoltà di cui patiamo come agrochimica, in termini soprattutto di difesa fitosanitaria, è perché negli anni '90 e 2000 vi fu solo una ristretta minoranza di attori che intravedevano le conseguenze negative di lungo termine della Revisione Europea e delle politiche agricole comuni. Le impellenze di breve periodo sono cioè divenute per molti una sorta di paraocchi, facendo porre l'attenzione su dove mettere il prossimo passo, trascurando la pericolosità della traiettoria che si stava percorrendo".

 

"Con glifosate è andata più o meno così. Dal 2015, dopo la classificazione di Iarc in gruppo 2A, probabile cancerogeno, non è che il settore si sia mosso subito e in modo compatto a difesa dell'erbicida. Anzi, da parte di importanti associazioni e aziende si è assistito all'usuale corsa alla concorrenza interna, sgomitando per trarre vantaggio dalle vicissitudini della molecola, anziché fare sistema per impedirne il massacro mediatico. Solo a ridosso del rinnovo si è assistito a un timido e parziale impegno collettivo in tal senso, salvo poi ricadere nei sonni fatali subito dopo il rinnovo stesso. In fondo, glifosate è stato autorizzato fino alla fine del 2033, quindi nella mente dei più imprudenti alla molecola ci si potrà comodamente pensare fra diversi anni, con buona pace del libro di Sandroni. Io invece ho pensato fosse meglio lavorarci da subito, evitando di dormire sugli allori. La fatica di produrre il sequel del libro non era infatti strettamente necessaria al fine di supportarne il recente rinnovo, bensì era utile per porre le basi per una sua difesa di lungo termine. Vedremo se il settore saprà cogliere l'opportunità offerta o se lascerà cadere i miei sforzi nel vuoto. In tal senso temo però si possa parafrasare l'inventore di Quelo, personaggio di Corrado Guzzanti: 'la seconda che hai detto'"


Se il glifosate potesse rispondere alla ormai famosissima domanda "Lei che belva si sente?" del programma Belve di Francesca Fagnani, cosa risponderebbe?
"Forse Stitch, il personaggio dei cartoni animati. Dotato di caratteristiche combattive incredibili, questo strano organismo era stato creato da uno scienziato al fine di renderlo un imbattibile agente distruttore. Per tale ragione suscitò però paura nel popolo del suo pianeta d'origine. Venne quindi ingabbiato, salvo riuscire a evadere e ad arrivare sulla Terra. Qui scoprì di non essere solo un semplice strumento di distruzione, bensì di poter mettere i propri poteri a disposizione di chi se li meritasse. Stitch, in fondo, è l'emblema non solo di glifosate, bensì di molti altri agrofarmaci percepiti ingiustamente come mostri, anziché alleati nella produzione del cibo che oggi nutre miliardi di persone".

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Glifosate, carne rossa e bevande molto calde sono nello stesso gruppo 2A dello Iarc. Perché solo glifosate è demonizzato e perché è diventato un tabù alimentare salutistico anche tra i consumatori?
"I motivi sono diversi e le dinamiche sociali complesse. In primis, la quasi totalità delle persone ignora come opera Iarc e quindi non sa che significato dare alle sue conclusioni. Gli esempi che hai portato, dell'acqua calda e delle carni rosse, sono perfettamente calzanti. Di fatto, la classificazione di Iarc per gruppi eterogenei non ha alcun significato in ottica di valutazione dei rischi. Ma la gente non lo sa e se cerchi di spiegarglielo ti guarda con sospetto, come se fossi tu quello che la vuole fregare per chissà quali interessi occulti. In secondo luogo, la percezione dei rischi è per lo più emotiva anziché razionale: spesso si percepiscono elevati e intollerabili dei rischi tutto sommato modesti, trascurando per contro dei rischi concreti e significativi. Ricordo un tizio che a un pranzo di lavoro ruppe le scatole agli altri commensali sugli immani pericoli dei residui dei pesticidi, salvo poi essere l'unico del gruppo ad alzarsi a fine pasto per uscire a fumare. Con quella sigaretta aveva inalato in una volta sola molte più sostanze nocive che con un intero anno di residui di agrofarmaci nei cibi, ma non lo capiva. Terza ragione: un rischio a cui mi espongo volontariamente, come appunto quello del fumo, dà l'illusione di poterlo governare a differenza di un rischio, magari infinitamente minore, sul quale non ho il benché minimo controllo. Esempio calzante, la guida dell'auto e il volo aereo: fa molti più morti il traffico quotidiano degli incidenti aerei, ma tenere il volante in mano illude di essere al riparo dal rischio, mentre stare seduti lontani dalla cabina del pilota induce sempre un certo timore, per giunta amplificato dall'impossibilità di governare gli eventi. Inoltre, nel caso di esempi come quello sopra della sigaretta a fine pasto, subentra la difesa della libera scelta. Difesa contro la quale la ragion non vale. Ultimo e forse più importante fattore: il grande business dell'allarmismo in cui molteplici soggetti sguazzano seminando paure immotivate al fine di guadagnare abbonamenti, share televisive o, più banalmente, vendite di prodotti".

 

"Figlio dell'allarmismo è infatti il marketing del senza: appena viene creato un mostro dagli allarmisti di professione, spunteranno come funghi realtà commerciali che cercheranno di valorizzare il proprio prodotto asserendo che quello no, il mostro non lo contiene perché è stato da loro bandito con ignominia. Abbiamo esempi di interi disciplinari di produzione che si sono fregiati del claim ‘no glifosato', come pure nei supermercati si trovano prodotti che tale claim lo scrivono grosso come una casa sulle proprie confezioni. Una speculazione maramalda, questa, che ha senso nullo dal punto di vista della sicurezza per il cittadino, ma che permette di fare leva proprio sull'impreparazione dei consumatori e sulle paure irrazionali di cui sopra. A tali paure si affianca poi l'ottuso individualismo dei più: se un bene o uno strumento non è di uso proprio, chi se ne importa se varrà bandito. Se invece quel bene o quello strumento è di interesse diretto del soggetto, guai a toccarglielo. Glifosate è di grande utilità per gli agricoltori - e per contro non v'è prova che abbia mai ucciso alcuno in Europa - mentre le polveri sottili causano centinaia di migliaia di decessi prematuri e provengono in larga parte dal traffico e dai riscaldamenti: provate a dire alla gente di andare in bicicletta e abbassare di 4-5 gradi la temperatura dei propri termosifoni… Non lo faranno mai. Molto più semplice eleggere a causa di tutti i mali un erbicida usato da una specifica categoria professionale che cambiare i propri stili di vita, quelli sì impattanti e spesso oggettivamente letali".


Gli esperti continuano a dividersi sull'uso di glifosate. Se potessi organizzare un incontro tra Iarc, Fao, Oms e Bayer, cosa diresti per convincerli ad incontrarsi?
"Bene da subito chiarire che non v'è partita fra gruppi equipollenti di esperti. Da un lato si trova infatti una mole imponente di prove che glifosate è nei fatti lontano anni luce dall'essere il mostro a sette teste che viene descritto. Dall'altro si è coagulata una minoranza di referenti che lavora alacremente per dimostrare che glifosate è causa della metà dei problemi del mondo. Fare strage di cavie in laboratorio, somministrando loro dosi astronomiche di erbicida, non ha però alcunché di scientifico. Se le molte pubblicazioni disponibili in rete avessero incluso tesi con dosi dell'erbicida prossime alla reale esposizione umana, si registrerebbe una sfilza di zero effetti. Non è infatti per caso che tali tesi realistiche siano sempre le grandi assenti nei lavori spacciati per scientifici da ricercatori o istituti supposti erroneamente autorevoli. Quindi, per concludere la risposta: no, non v'è alcun incontro da organizzare. Chi ha interessi a demonizzare glifosate (e ogni altro agrofarmaco) non può essere convinto del contrario, banalmente perché ha tutto l'interesse a proseguire nella propria marcia al massacro".

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Parli dei casi legali di Monsanto e Bayer. Se tu fossi stato il loro avvocato, come avresti difeso l'innocenza del glifosato?
"La scienza nei tribunali è spesso a disagio. Le dinamiche processuali possono infatti produrre sentenze che agli occhi di un esperto appaiono demenziali, banalmente perché i concetti di correlazione e di concausalità nascono da approcci diversi. In più, si deve fare i conti con la spregiudicatezza di certi studi legali. A conferma, le class action contro Monsanto prima e Bayer poi sono dei veri assalti di sciami di vespe: non serve avere ragione, bensì basta essere in tanti, troppi da poter contrastare. E la multinazionale deve cedere perché non può reggere la miriade di punture che le vengono somministrate ovunque. Quindi paga, sperando di chiuderla lì, che sia responsabile o meno non importa più. Agli avvocati di Bayer nulla ho da suggerire. La belva che stanno cercando di domare è più grossa e cattiva di loro. Semmai farei notare a chi comanda nella Casa di Leverkusen che se fosse stato speso in comunicazione solida e trasparente un decimo degli oltre dieci miliardi di dollari sborsati per chiudere le cause, forse in tribunale non ci sarebbero mai arrivati. E questo vale anche per tutti gli altri player della fitochimica, molto più inclini a sfruttare commercialmente le vicissitudini dei concorrenti che a colpire le batterie di artiglieria furfante che bombardano oggi l'uno, domani l'altro. Purtroppo, anche per le aziende è come dicevamo all'inizio dell'intervista: il valore azionario e gli obiettivi di vendite dell'anno in corso fanno trascurare la sostenibilità di lungo periodo del settore stesso in cui si opera. Un male, questo, che ritengo ormai incurabile".

 

Nel libro smonti molte fake news e polemiche sull'erbicida. Qual è quella che ti ha fatto alzare gli occhi al cielo?
"Gara dura, perché di case history surreali ne ho elencate parecchie. Credo però che l'accusa più folle mossa a glifosate sia quella che gli attribuisce persino un ruolo nella diffusione del Covid-19 in America. Batte di un'incollatura l'accusa di provocare autismo, meritatissima medaglia d'argento, e stacca di molto quella di nuocere al microbioma intestinale delle cozze. Di fantasia ne ho infatti trovata tanta in chi attacca glifosate, ma come quella mostrata da Stephanie Seneff per il Covid-19, mai".

 

Chi è il lettore ideale del tuo libro? E chi vorresti assolutamente che lo leggesse?
"Di fatto, chiunque sia curioso di sapere come sono andate davvero le cose. Sia all'interno del mondo agricolo, sia all'esterno. Per esempio, credo che il libro possa essere un efficace strumento formativo per i giovani studenti che si vogliano avventurare nel settore agricolo. Non da meno, le informazioni contenute nel libro possono essere utili a quei tecnici e a quegli agricoltori che patiscono da troppo tempo delle accuse di essere avvelenatori del mondo. Infine, sarebbe utile venisse letto dai colleghi giornalisti della stampa generalista. Quelli onesti e privi di furbeschi interessi editoriali, intendo. Perché quelli che campano terrorizzando deliberatamente lettori o telespettatori non cambierebbero di una virgola il proprio operato. Una cosa è certa però: questo libro sarà l'ultimo sforzo che faccio su glifosate. Sono anni che me ne occupo attivamente, venendo percepito per questo come un servo delle multinazionali, Monsanto/Bayer in primis. Quindi anche basta, perché c'è una vita là fuori oltre a glifosate, anche per me. Quello che sapevo su questo erbicida è praticamente tutto lì, nel libro. Ergo, credo che da adesso in poi potrei solo ripetermi. Meglio perciò chiudere in bellezza con questo mio testamento professionale sull'erbicida. Parafrasando quindi Forest Gump: ‘… e non ho altro da dire su questa faccenda'"

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