Cosa fare contro l'afide lanigero del melo? Ci pensa la ricerca
Il Centro di Sperimentazione Laimburg ha dato il via ad un progetto che comprende tre diversi approcci di ricerca: lo studio della biologia del fitofago e dei nemici naturali, la valutazione dei prodotti fitosanitari e l'uso di strumenti di difesa biologici come i funghi entomopatogeni

L'Aphelinus mali, nemico naturale dell'afide lanigero del melo sverna in campo sull'Eriosoma svernante
Fonte immagine: © Centro di Sperimentazione Laimburg
Uno dei primi parassiti delle pomacee da tenere sotto controllo è l'afide lanigero del melo, Eriosoma lanigerum.
Sverna come neanide all'interno delle screpolature della corteccia o in corrispondenza delle cicatrici di potatura. Con l'arrivo della primavera gli insetti si riproducono e danno origine a nuove generazioni, che possono arrivare anche fino a 20 in un solo anno. Durante il ciclo biologico, parte della popolazione può colonizzare l'apparato radicale, mentre altre forme rimangono sulle parti aeree della pianta. L'attività trofica si riduce progressivamente con il calo delle temperature fino ad arrestarsi in inverno.
I danni sono causati dalle punture di suzione che gli insetti fanno sui rami, tronchi e radici, per nutrirsi della linfa della pianta. Le conseguenze per il melo sono ben visibili: iperplasie e ipertrofie nei tessuti colpiti, disseccamenti, ridotto assorbimento idrico e nutrizionale nelle radici e inevitabilmente, perdite di produzione.
La gestione di questo insetto è una priorità assoluta per il Trentino Alto Adige, cuore della melicoltura italiana. Per questo il Centro di Sperimentazione Laimburg ha messo a punto un nuovo progetto di ricerca per studiare strategie di controllo sostenibili, integrate ed efficaci in campo.
Il nuovo progetto verrà svolto all'Istituto della Salute delle Piante da tre gruppi studio con un approccio multidisciplinare: quello entomologico che approfondisce la biologia e il controllo dell'afide con i nemici naturali, quello sulla valutazione dei formulati fitosanitari ammessi in agricoltura integrata e biologica, e quello sull'uso di funghi entomopatogeni come possibile strumento alternativo di difesa biologico.
Per saperne di più abbiamo intervistato Martina Falagiarda, entomologa del Centro di Sperimentazione Laimburg.
Afide lanigero: perché è un problema per i meleti
Il danno più importante dell'afide lanigero del melo è quello che fa sul legno, lasciando anche segni evidenti e duraturi. "In autunno e in inverno si possono vedere le iperplasie a livello degli internodi, ma soprattutto si vede il legno molto rovinato - spiega Martina Falagiarda - Questo ovviamente incide sulla produttività delle piante anche nel lungo periodo. Durante la stagione, si possono osservare le caratteristiche secrezioni cerose e cotonose dell'afide, che possono favorire lo sviluppo di fumaggini. A livello qualitativo, l'indebolimento generale della pianta può compromettere la qualità dei frutti, mentre le secrezioni cerose possono imbrattarne la superficie quando le colonie sono numerose sui rami".
(Fonte: Centro di Sperimentazione Laimburg)
Il monitoraggio del fitofago comincia presto, già tra marzo e aprile. E anche se non tutti gli agricoltori si preoccupano allo stesso modo, grazie alla presenza di varietà più resistenti di altre, l'attenzione resta alta soprattutto per le cultivar più sensibili, come per esempio la mela Fuji.
"Quello che facciamo noi, negli impianti dove svolgiamo il monitoraggio dell'afide lanigero - afferma Martina - è di applicare delle fasce collanti in due diverse parti del fusto, per vedere quando comincia la migrazione dell'afide lungo il tronco, intercettando gli individui in movimento".
Grazie al monitoraggio, negli ultimi anni al Centro Laimburg hanno notato che la dinamica della popolazione dell'insetto è cambiata con il cambiamento climatico: "Abbiamo visto che c'è un ritorno, una recrudescenza di questo insetto. Con gli inverni miti lo svernamento dell'afide lanigero, che in passato si concentrava prevalentemente nelle parti basali della pianta, adesso avviene anche sulla chioma, quindi su tutta la pianta". Un'evoluzione che potrebbe complicare notevolmente la gestione in campo.
Oggi la strategia di contenimento dell'Eriosoma lanigerum si distingue tra convenzionale e biologico. Nel primo caso il controllo si basa principalmente sull'uso di principi attivi autorizzati nella produzione integrata, come per esempio flupyradifurone. Nel biologico, invece, si usano prodotti organici come funghi entomopatogeni, che però sono meno efficaci.
La ricerca multidisciplinare del Centro Laimburg: nemici naturali, fitofarmaci, funghi entomopatogeni e non solo
La lotta all'afide lanigero del melo rappresenta una sfida per la frutticoltura altoatesina. Il nuovo progetto prioritario vuole affrontare il problema da diverse prospettive, per individuare soluzioni capaci di garantire un controllo duraturo e a basso impatto ambientale, sia nella produzione integrata che in quella biologica.
"Il progetto per il quale abbiamo ricevuto il finanziamento dal Consorzio Mela Alto Adige è suddiviso in tre grandi blocchi", spiega Martina Falagiarda.
"La prima parte è dedicata alla ricerca entomologica e prevede lo studio della fenologia dell'afide del melo e di quei fattori che influenzano il suo sviluppo, come la temperatura e l'altitudine (visto che ci sono coltivazioni che vanno dai 200 ai 1000 metri sul livello del mare). Inoltre verrà approfondita anche la fenologia dell'antagonista principale cioè Aphelinus mali.
Anche per questo insetto lo svernamento non è uguale dappertutto. Per esempio, già questo inverno abbiamo visto che lo svernamento è facilitato dal microclima più mite delle zone di valle rispetto alle aree collinari, dove le condizioni termiche riducono la sopravvivenza dei parassitoidi".
L'Aphelinus è difficile da allevare in laboratorio e per questo motivo si sfrutta la lotta biologica conservativa che prevede l'applicazione di una serie di pratiche agronomiche con lo scopo di preservare e/o potenziare l'azione svolta dal nemico naturale già presente in campo.
Leggi anche: Lotta biologica in campo, storia e casi studio
"L'Aphelinus infatti - continua l'entomologa - sverna in campo sull'Eriosoma svernante. Inizia ad uscire da noi ad aprile e tutto il ciclo avviene sul melo in campo, strettamente sincronizzato con quello dell'ospite. Nei prossimi anni prevediamo di traslocare mummie parassitizzate di Eriosoma da impianti con alta presenza del parassitoide verso quelli con popolazioni più scarse, per incrementare l'insediamento di Aphelinus mali. Questo almeno inizialmente, perché poi Aphelinus ha un bello sviluppo quando le popolazioni di Eriosoma sono consistenti, e riesce a parassitizzarne anche l'80-90%".
Monitorare il parassita e il parassitoide servirà anche a sviluppare un modello previsionale: "Stiamo collaborando insieme ad altre regioni nella validazione di un modello previsionale in corso di realizzazione da parte del Servizio Fitosanitario dell'Emilia Romagna. Il modello ha l'obiettivo di fornire informazioni sulla ripresa dell'attività dell'afide e del suo limitatore naturale Aphelinus mali dopo lo svernamento e sull'evoluzione, per entrambi, delle successive generazioni. Lo sviluppo di afide e afelino è calcolato in tempo reale sulla base delle temperature registrate in campo, tenendo in considerazione le interazioni tra le due specie". Il modello, ancora in fase di sviluppo, potrebbe diventare uno strumento di supporto concreto per gli agricoltori.
Leggi anche: Il ruolo della modellistica e dei Dss per la salute delle piante
Martina Falagiarda continua: "Un altro obiettivo della parte entomologica del progetto è quello di studiare anche gli altri antagonisti naturali dell'afide lanigero del melo: principalmente sirfidi, coccinelle, forficule e crisope. Quindi nei prossimi anni verificheremo quali di questi antagonisti sono presenti e come possiamo promuovere la loro azione a livello di lotta biologica conservativa".
È noto infatti, per esempio, che ci sono diverse specie di sirfidi che predano afidi. Mantenere la presenza di strisce fiorite nei pressi del frutteto può stimolare la presenza di sirfidi, che in primis si nutrono di polline e nettare. "Sui sirfidi i nostri colleghi del gruppo di agricoltura biologica, dell'Istituto di Frutticoltura e Viticoltura, stanno già lavorando da qualche anno. Hanno anche già provato in impianti biologici a fare dei rilasci di sirfidi, quelli disponibili in commercio, aiutati nello sviluppo dalla presenza in campo di strisce fiorite. Al momento i risultati sono promettenti ma sono studi che continuano anche quest'anno; proprio questo mese hanno rilasciato nuovamente i sirfidi".
Leggi anche: Afide lanigero del melo, il controllo passa per sirfidi e strisce fiorite
Il secondo gruppo di lavoro del progetto è quello sulla valutazione dei fitofarmaci: "Vengono testati diversi prodotti fitosanitari disponibili, sia per l'integrato che per il biologico - ci spiega l'entomologa del Centro Laimburg - e si studia come integrarli nelle strategie di lotta. I test vengono fatti da anni in pieno campo, e adesso verranno svolti anche in laboratorio per valutare degli aspetti specifici. Inoltre, verranno valutati sistemi di applicazione, per esempio l'applicazione sul tronco. Verrà valutata anche l'influenza di alcune misure agronomiche, come per esempio la gestione del sottofilare, sullo sviluppo delle popolazioni di Eriosoma. Infine, tutti i prodotti verranno testati anche su Aphelinus mali per conoscerne l'effetto sul parassitoide e studiare una strategia che non ne limiti la presenza".
L'ultimo gruppo di lavoro del progetto è dedicato allo studio di ulteriori metodi di controllo biologico come i funghi entomopatogeni: "Verrà valutata la loro efficacia, prima in laboratorio e poi in campo. I ceppi testati al momento appartengono ai generi Metarhizium e Beauveria, nella valutazione saranno considerati anche ceppi locali non ancora registrati".
Ma la ricerca sull'afide lanigero del melo al Centro Laimburg non si limita solo a questo progetto: "In corso c'è anche un dottorato di ricerca con l'Università di Bolzano, in cui una studentessa si sta occupando delle interazioni tra gli afidi, la pianta ospite e gli antagonisti naturali per ricercare sostanze potenzialmente bioattive, come i feromoni, che sono coinvolte in queste interazioni. L'obiettivo è quello di isolare queste sostanze e utilizzarle come nuove tecniche di difesa".
E ancora non basta, ci sono anche progetti che riguardano le varietà più o meno suscettibili: "I colleghi dell'agricoltura biologica - racconta Martina Falagiarda - portano avanti un progetto da qualche anno, dove valutano la suscettibilità delle diverse varietà di melo coltivate qui da noi, e anche dei portainnesti. Ci sono, infatti, portainnesti suscettibili come il classico M9, e portainnesti che sembrano essere utili nel contenere l'afide lanigero.
In questo contesto, quest'anno abbiamo creato anche, all'interno di un altro progetto, un meleto sperimentale con portainnesti di entrambi i tipi con due varietà: una più suscettibile e una meno suscettibile. L'obiettivo è quello di verificare se effettivamente l'impiego dei portainnesti più resistenti all'afide possa essere utile e avere un'efficacia al contenimento del fitofago".
E per concludere, al Centro Laimburg si studia qualcosa di ancora più innovativo: "Il responsabile per l'entomologia, Manfred Wolf, sta portando avanti un piccolo progetto con un'azienda startup per sviluppare un metodo digitale di riconoscimento di presenza dell'afide sul tronco delle piante. È composto da telecamere mobili che passano nell'impianto e tramite l'applicazione dell'intelligenza artificiale riconoscono l'infestazione da afide". Un’ulteriore frontiera, quella del monitoraggio digitale, che potrebbe fare la differenza nella gestione di precisione dell'Eriosoma lanigerum.