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Non solo cinghiali e lupi, aumentano le specie dannose per l'agricoltura

Già colpiti da cinghiali, nutrie, lupi e corvi, gli agricoltori devono fare i conti con nuove specie che possono arrecare danni ai campi. Si moltiplicano le segnalazioni che riguardano cervi, minilepri, oche selvatiche, scoiattoli, fenicotteri e pappagallini

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Cervi e altri ungulati, pressione in aumento in montagna (Foto di archivio)

Fonte immagine: © veneratio - Adobe Stock

Fare l'agricoltore è un lavoro complesso, che diventa ancora più difficile quando si devono contrastare le incursioni della fauna selvatica nei campi coltivati. Oggi molti produttori devono fare i conti con i cinghiali, che sono la specie più dannosa ed invasiva. Mentre in montagna è il lupo ad impensierire gli allevatori, che si vedono predare pecore e vitelli. In pianura, invece, la nutria causa problemi alle coltivazioni e alle opere idrauliche.

 

Negli ultimi anni però, accanto a queste specie ormai ben conosciute, se ne sono aggiunte di nuove, spesso provenienti dall'estero, che si stanno diffondendo con una certa velocità nelle nostre campagne. Si moltiplicano infatti le segnalazioni di danni causati da cervi, minilepri, oche selvatiche, scoiattoli grigi, fenicotteri e pappagallini.

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Cervi e altri ungulati, pressione in aumento in montagna

Se negli ultimi anni molte risorse sono state dedicate al contenimento dei cinghiali, oggi sono i cervi a rappresentare una crescente criticità per l'agricoltura montana. Ad esempio nelle Orobie, in Lombardia, la presenza dei cervidi è aumentata in maniera significativa, con conseguenti danni ai prati da foraggio e ad altre colture, soprattutto nei fondovalle.

 

Gli animali si muovono in gruppi numerosi, spesso superiori ai venti esemplari, e riescono facilmente a superare le recinzioni. Il risultato è una crescente difficoltà per gli agricoltori nel proteggere le colture, già messe alla prova da condizioni climatiche avverse e dalla competizione per l'uso del suolo.

 

Minilepri, una specie invasiva difficile da contenere

Sempre in Lombardia, soprattutto nelle province di Varese e Milano, è in forte espansione la minilepre (Sylvilagus floridanus), una specie originaria del Nord America introdotta illegalmente per scopi venatori. È molto prolifica e adattabile, capace di partorire fino a cinque volte l'anno con cucciolate numerose, anche di dieci esemplari.

 

I danni causati alle colture dalle minilepri sono molteplici: sottoterra rosicchiano le radici, in superficie attaccano la vegetazione e le cortecce degli alberi, con conseguenze rilevanti anche per i vivai. Inoltre, possono danneggiare gli impianti irrigui, rosicchiando i tubi per accedere all'acqua. Attualmente le popolazioni sono difficilmente controllabili e il prelievo venatorio non risulta sufficiente a contenerne la diffusione.

 

Scoiattoli, un impatto significativo sui noccioleti

Nel Lazio, in particolare nella Tuscia, sono crescenti le segnalazioni di danni ai noccioleti causati dagli scoiattoli. Secondo recenti stime delle associazioni di categoria, il danno economico provocato da questi roditori sarebbe nell'ordine di 3 milioni di euro su scala regionale, di cui circa 1,2 milioni nella sola Tuscia.

 

Un esemplare di scoiattolo grigio americano

Un esemplare di scoiattolo grigio americano

(Fonte foto: Wikipedia)

 

Nella zona sono presenti lo scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris) e, in misura ancora non ufficialmente documentata, anche lo scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis), specie invasiva già nota in altre aree italiane, come le Langhe. Lo scoiattolo europeo tende a mantenere un equilibrio ecologico, mentre quello americano, in assenza di predatori e con un'elevata capacità riproduttiva, può generare danni rilevanti alle colture ed entrare in competizione con gli omologhi europei. A ciò si aggiunge il fatto che molti cittadini, trovandoli simpatici, offrono loro cibo e riparo, portando ad un aumento delle popolazioni.

 

Fenicotteri e risicoltura, un equilibrio difficile

Nel Delta del Po, in particolare nel ferrarese, gli agricoltori che coltivano riso devono fare i conti con la presenza sempre più massiccia dei fenicotteri rosa. Pur non nutrendosi direttamente del riso, questi uccelli "arano" il terreno durante la ricerca di molluschi e insetti, compromettendo la crescita delle giovani piantine.

 

Le perdite sono ingenti: in alcune aziende si parla fino all'80% del raccolto. Gli interventi messi in campo dagli agricoltori, tra cui ronde notturne, dissuasori acustici e visivi, hanno un'efficacia limitata e generano, in alcuni casi, conflitti con le comunità locali. Il mese di maggio, cruciale per la germinazione del riso, è anche il periodo in cui i danni risultano maggiori. Le associazioni agricole chiedono alla regione un sostegno più incisivo, sia in termini economici che di strumenti di prevenzione.

 

Parrocchetti, una minaccia sempre più diffusa

Oltre a corvi, colombacci e storni, negli ultimi tempi si registra l'espansione di specie aliene di volatili come il parrocchetto dal collare e il pappagallo monaco. Questi uccelli, ormai endemici, formano colonie stabili nei contesti urbani e periurbani, e si spostano nei campi coltivati per nutrirsi di frutti maturi, gemme e giovani piante.

 

I danni sono particolarmente gravi nei frutteti, dove la perdita della produzione può diventare significativa. Gli strumenti di protezione sono scarsi. Se infatti, in un primo momento, cannoncini ad aria compressa e dissuasori visivi funzionano, presto gli animali si abituano a queste forme di disturbo e dunque le ignorano. La soluzione, per ora, è rappresentata dalle reti, che tuttavia hanno un costo ingente e non sono utilizzabili in tutti i contesti.

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Pappagalli e parrocchetti prendono di mira frutta e verdura

Pappagalli e parrocchetti prendono di mira frutta e verdura

(Fonte foto: © Capnord - Adobe Stock)

 

Agricoltori esasperati: servono strategie coordinate

Il moltiplicarsi delle specie selvatiche problematiche, molte delle quali alloctone o protette, mette in evidenza la necessità di un approccio più strutturato e coordinato nella gestione della fauna selvatica. Se da un lato la biodiversità va tutelata, dall'altro è necessario salvaguardare il lavoro degli agricoltori e la redditività delle produzioni agricole.

 

Le politiche regionali già oggi offrono indennizzi, che tuttavia, a detta degli agricoltori, non sono né adeguati né tempestivi, tanto che molte imprese, semplicemente, non fanno richiesta dei ristori. E dunque, anche a livello statistico, è come se non esistessero.

 

Negli ultimi anni, complice l'aggravarsi della situazione, i Piani di Sviluppo Rurale, oggi Csr, hanno messo a disposizione fondi per dotare le aziende degli strumenti di protezione, ad esempio contro i lupi, ma anche in questo caso si tratta di risorse limitate. Infine, le associazioni di categoria chiedono piani di gestione mirati, come accaduto nel caso del cinghiale, che per contenere il problema della peste suina africana (Psa) è stato oggetto di piani di abbattimento che hanno portato notevoli benefici.

 

Di strategie di protezione attiva e passiva nelle aziende agricole abbiamo parlato anche nel nostro podcast "Terra di Denari" curato dalla giornalista Barbara Righini.

 

La gestione del rischio in agricoltura

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