2025
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Residui negli alimenti: sono sicuri, non preoccupanti

L'ennesimo report di Legambiente ha dato il via a una serie di notizie e commenti che rafforzano nei cittadini le già esistenti paure immotivate. Per fortuna, la realtà su agrofarmaci e alimenti dice tutt'altro

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Alimenti sicuri. L'informazione molto meno (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Alexander Raths - Adobe Stock

Puntuale come in passato è uscito il report "Stop pesticidi nel piatto 2025" di Legambiente, realizzato con il sostegno di AssoBio e Consorzio Il Biologico. Come ormai noto da tempo, le compagini ecologiste e quelle bio sono spesso alleate negli attacchi alla chimica agraria, ma solo quando di sintesi. Quindi l'argomento di per sé non dovrebbe nemmeno più fare notizia. Invece, il report di Legambiente è stato ripreso da diverse testate con le altrettanto usuali dichiarazioni di contorno.

 

Purtroppo, chi scrive per la stampa specializzata non può fare spallucce e sbadigliare di fronte all'ennesimo documento "anti-pesticidi" e, anzi, deve armarsi di pazienza e rispondere punto per punto come già fatto in passato. Iniziamo dal report stesso.

 

Il report di Legambiente

Le analisi hanno interessato 4.682 campioni di frutta, ortaggi, cereali, ma anche prodotti trasformati e alimenti di origine animale. I risultati - ça va sans dire - vengono definiti "preoccupanti", poiché il 48% dei campioni presentava tracce di residui, con "ben il 30,6%" che ne mostrava più di uno. Oltre la metà, ossia il 50,94%, non presentava invece residui all'analisi. Un valore dato in calo rispetto al passato.

 

E qui è bene fare una precisazione a favore sia del mondo eco-bio sia della stampa generalista che ne amplifica la propaganda: spesso descrivono questa percentuale come "priva di pesticidi". In realtà non lo è: semplicemente le metodiche analitiche attuali arrivano fino a una certa soglia di rilevabilità e più in giù di quella non vanno. In futuro sicuramente ci andranno, cambiando quindi i rapporti fra le diverse categorie statistiche. Ciò spiega il calo nel tempo di questa percentuale che sul finire degli anni '90 era dell'85% nonostante usassimo circa il doppio di agrofarmaci rispetto a oggi.

 

Quindi, se in futuro troverete - mi rivolgo a voi in modo diretto - una percentuale ancor più bassa di campioni avulsi da residui all'analisi, almeno da ora sapete il perché e magari non presenterete quel dato come un allarmante peggioramento quando, al contrario, è solo sintomo di miglioramento delle tecniche analitiche. Anche perché, altra informazione a voi utile, dal 1990 a oggi le quantità di sostanze attive impiegate in Italia sono calate del 60%, scendendo per la prima volta sotto la soglia delle 40mila tonnellate annue.

 

Le dichiarazioni di contorno

Non sono mancati i commenti di persone note all'ambiente fitosanitario, a partire da Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell'Istituto Ramazzini, la quale ha rilanciato il famigerato effetto cocktail, sostenendo che queste sostanze nocive "Si accumulano, non è vero che spariscano", aggiungendo poi il tema della dispersione ambientale: "A seconda delle condizioni atmosferiche i pesticidi possono andare anche molto lontano, vicino a scuole e ospedali". E a concludere ha citato lo studio dell'Istituto Ramazzini sulla cancerogenicità di glifosate. Studio già commentato da altri nei dettagli e quindi non meritevole di ulteriori approfondimenti. 

 

Questo il sunto di quanto pubblicato sui media a valle della presentazione del report di Legambiente. Ora, però, sarà bene dare un'occhiata a cosa dicono le campagne di monitoraggio residui dei ministeri italiani. 

 

Il Pnr: Piano nazionale residui 2024

Circa il Piano nazionale residui nell'anno passato sono stati prelevati in Italia 26.968 campioni, realizzando poi un totale di 397.913 determinazioni analitiche. Il piano abbraccia diversi sotto-piani, ossia il piano mirato, il piano di sorveglianza, il piano Paesi terzi, l'extrapiano e il campionamento su sospetto. 

 

  • Piano mirato: i campioni analizzati ammontano a 24.337, per un totale di 317.082. Solo 10 i campioni irregolari (0,04%) e pari a 12 (0,0038%) gli esiti analitici non conformi. 
  • Piano di sorveglianza: raccolti 1.056 campioni, di cui solo uno (0,095%) risulta irregolare, come pure una è stata l'irregolarità analitica su 34.427 determinazioni effettuate (0,003%).
  • Piano Paesi Terzi: 429 campioni per 9.876 analisi: zero irregolarità.
  • Extrapiano: 514 campioni per 23.863 analisi: zero irregolarità.
  • Campionamento su sospetto: 632 campioni per 27 irregolarità (4,27%), con altre 77 su 12.665 determinazioni analitiche (0,61%). 

Considerando il totale si parla, come detto, di 26.968 campioni per 397.913 determinazioni. Le irregolarità complessive sono state quindi 38 sui campioni (0,14%) e 40 sulle analisi (0,01%). Sempre stabile intorno al 50% la quota di campioni che non presentavano residui all'analisi.

 

Va inoltre considerato che i limiti residui, stabiliti per legge, partono da criteri tossicologici fortemente cautelativi e prudenziali, tanto che anche un residuo fuori norma, magari del 20%, non possa essere interpretato di per sé dannoso per la salute. Banalmente, se c'è un limite e una partita lo supera, quella partita non può e non deve essere messa in commercio. Come per le multe: se si supera il limite di velocità, anche di un'inezia, si paga. Ed è giusto così. Ma i rischi per la salute, quelli, si spostano dello zero virgola. 

 

Di fatto, il cibo consumato dagli Italiani è tutt'altro che "preoccupante", come sempre ribattuto da Legambiente e da chi le va dietro. Semmai è vero il contrario, confermando come il modo di proporre gli stessi dati possa essere usato per ribaltare la percezione di chi legge. Il quantitativo di residui che ogni anno si stima ingerisca un Italiano medio è infatti inferiore ai 100 milligrammi, più probabilmente intorno ad alcune decine di milligrammi. Ciò considerando anche i processi di lavaggio, sbucciatura e cottura. Per esempio, stando a una ricerca canadese, il famigerato glifosate contenuto nella pasta viene estratto dall'acqua di cottura in ragione del 73%. Quindi nei piatti non ci arrivano i residui misurati nel crudo, già di per sé sicuri: ne arriva sì e no un quarto. Il tutto, con buona pace di chi sul binomio pasta/glifosate ha incendiato per anni le paure dei consumatori. 

 

Lo stesso Bruce Ames, uno dei padri della tossicologia moderna, stimava infatti in 50 milligrammi circa l'introito annuo di residui con la dieta. Per un individuo di 60 chili di peso le assunzioni medie di residui con gli alimenti si possono quindi stimare in 137 µg/giorno, pari a loro volta a 2,3 µg/kg/giorno. Tale assunzione, oltre a essere irrisoria dal punto di vista quantitativo, è anche discontinua ed eterogenea, tale da non permettere interazioni di tipo cronico fra le diverse sostanze attive.  

 

E da qui si arriva all'ormai iper sfruttato argomento dell'effetto cocktail. In tal senso, nel 2016 venne lanciato il progetto MixTox con lo scopo di affinare metodologie armonizzate per valutare i rischi da miscele di agrofarmaci.

 

  • Case history 1: statine anti colesterolo e succo di pompelmo. Quest'ultimo alterava la persistenza delle statine nel sangue, prolungandola. 
  • Case history 2: interazioni fra melamina e acido urico, dando origine a calcoli renali.

In entrambi i casi, le dosi a cui si sono riscontrate tali interazioni erano però significative: le statine erano assunte a dosi terapeutiche e il succo di pompelmo bevuto a bicchieri. Le tracce di melamina erano comprese fra 40 e 120 volte le dosi raccomandate dall'Oms, pari a 0,2 mg/kg/giorno, contro gli 8-24 mg/kg/giorno assorbiti dalla popolazione oggetto di indagine. 

 

Per tali ragioni nessuno è ancora riuscito a dimostrare il paventato effetto cocktail degli agrofarmaci su base epidemiologica, ossia lavorando su una popolazione esposta ai reali valori di residui. Dura infatti pensare che qualche nanogrammo di un triazolo possa interagire con qualche altro nanogrammo di una strobilurina a dare un qualsivoglia effetto. Lo stesso dicasi per ogni altra possibile combinazione a due o più sostanze attive. Anche perché tali combinazioni sono estremamente variabili per quantità presenti e per tempi di esposizione.

 

Soprattutto quest'ultima è alquanto discontinua, variando di giorno in giorno e abbattendo in tal modo il già irrisorio rischio di effetti cronici legati a specifiche combinazioni di residui. In tal senso, aiuta un'alimentazione il più possibile variata, strada maestra per mantenersi il più possibile in salute, a meno ovviamente di imperscrutabili jelle nere che il destino decida di buttarci fra i piedi. 

 

Circa infine l'accumulo nel corpo, paventato da Fiorella Belpoggi, si ricorda che in alcune ricerche svolte da Coop in Svezia1 si osservava un'eliminazione pressoché completa di agrofarmaci tramite urine nel volgere di poche settimane. Quindi una prova ulteriore che gli attuali agrofarmaci non hanno le caratteristiche fisico-chimiche per accumularsi nel corpo umano, a differenza dei prodotti organoclorurati del passato.

 

L'escrezione per via urinaria resta infatti la via preferenziale seguita dalle sostanze attive impiegate oggi. Per ironia della sorte, lo studio che dimostrava l'eliminazione con le urine delle sostanze attive di sintesi era stato commissionato da Coop Svezia per sostenere supposti benefici della dieta bio

 

Cosa dice Efsa sui residui

Da alcuni anni  Efsa ha esteso la metodologia di valutazione probabilistica a tutti gli agrofarmaci analizzati. Grazie a questa valutazione è possibile oggi stimare la probabilità che i consumatori siano esposti a una quantità di residui superiore alle soglie di sicurezza.

 

Grazie alle analisi, infatti, è stato possibile per Efsa stimare l'assunzione media, giornaliera o annua, di ogni agrofarmaco in veste di residuo, stabilendo che il rischio per i consumatori rimane basso. L'Autorità ha cioè definito "improbabile" che l'esposizione alimentare a questi livelli di residui rappresenti un rischio per la salute.

 

Conclusioni

I cittadini italiani possono continuare a mangiare serenamente ciò che acquistano nei punti vendita, soprattutto in quelli controllati dal canale commerciale stesso. Di "preoccupante", quindi, resta solo la pervicacia con cui il mondo eco-bio continua a suscitare paure immotivate verso il settore fitosanitario. Settore che ha già perso la gran parte delle soluzioni efficaci di cui disponeva sino a pochi anni or sono, tanto da generare preoccupazioni, queste sì concrete, da parte di agricoltori e tecnici su come fronteggiare efficacemente la crescente ondata di parassiti e patogeni che sta interessando il comparto produttivo nazionale.  

 


1) Jorgen Magner, Petra Wallberg, Jasmin Sandberg, Anna Palm Cousins (2015): "Human exposure to pesticides from food”. Swedish Environmental Research Institute, per conto di Coop Svezia.

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