2021
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Rame, vigneti e biodiversità

Agricoltura, ambiente e salute: una pubblicazione francese indaga il ruolo del rame nei confronti della biodiversità del suolo. Come al solito le dosi rinvenute in bibliografia sono irrealistiche. Ma…

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Agricoltura, ambiente & salute: rame nei suoli, problema da non sminuire

Proseguendo dal sommario, le dosi di rame considerate negli studi francesi sono in effetti decisamente irrealistiche, come per tanti altri agrofarmaci messi alla gogna da una miriade di analoghe pubblicazioni "scientifiche". Anche in questo caso, infatti, si parla di centinaia di volte le dosi di rame attualmente impiegate in agricoltura: quindi uno sproposito. Vi sono però da fare alcuni iniziali distinguo, tutt'altro che sottili, sia in termini di modalità comunicative sia di persistenza ambientale.


Aspetti comunicativi: se per gli agrofarmaci di sintesi non viene mai inserita nelle pubblicazioni alcuna nota che ricordi i palesi sovradosaggi adottati dai ricercatori, tale premura viene invece mossa se l'agrofarmaco è un rameico. Per lo meno nel caso oggetto del presente articolo. E ciò è assolutamente corretto, intendiamoci. Più onesto sarebbe, però, se tale premura fosse mossa sempre, anziché patire delle sgradevoli modalità selettive cui troppi gruppi di ricerca e associazioni ci hanno ormai abituati.

Persistenza: tra agrofarmaci di sintesi e rame vi è una differenza sostanziale anche in termini di presenza nel suolo, la quale varia per i primi da poche settimane a qualche mese, mentre il rame ha una persistenza ambientale teoricamente infinita, visto che la sua stessa natura di metallo ne impedisce la degradazione.

Ed è proprio la persistenza uno dei fattori che più preoccupa normatori ed ecologi (stranamente non gli ecologisti), dal momento che il rame viene utilizzato da circa un secolo e mezzo come antiperonosporico. Ciò ha fatto sì che il metallo si sia accumulato nel suolo, soprattutto dei vigneti, raggiungendo talvolta concentrazioni potenzialmente nocive per diversi organismi terricoli. Cioè quelli alla base della tanto reclamata, non sempre a proposito, biodiversità. Biodiversità oggetto appunto della review che si sta analizzando oggi.
 

Riassunto degli ultimi anni

Per le ragioni su esposte, negli ultimi decenni la normativa ha deciso di ridurre progressivamente i quantitativi annui di rame da impiegare in agricoltura, passando da una prima soglia di 8 kg/ha/anno di Cu++ ai 6 kg in vigore fino a pochi anni or sono. Adesso, terza riduzione, con il raggiungimento della soglia di soli 4 kg/ha/anno. Una quantità che in Francia, per esempio, preoccupa molto, osservando diversi registri dei trattamenti che si posizionano regolarmente al di sopra di tale soglia, specialmente in biologico. L’aver ottenuto i 28 kg/ha su sette anni ha di fatto spostato in là nel tempo i problemi e le eventuali contestazioni, ma prima o poi i nodi vengono sempre al pettine e quindi basta aspettare per vedere come andrà a finire.

Ovviamente al netto dell'uso maramaldo di certi concimi rameici. Perché a rispettare le regole sulla carta, violandole poi nei fatti, sono capaci tutti. Per lo meno, tutti i disonesti. Inutile (e grottesco) appare quindi emanare circolari ministeriali che lancino strali contro il rame contenuto in alcuni biostimolanti, mettendo nel mirino solo il biologico, peraltro, quando poi sul libero mercato si può acquistare a vagonate del solfato di rame tal quale.
 

Lo studio francese

Sia come sia, oggi come ieri, le dosi di rame attualmente applicate in vigna sarebbero circa tra le 10 e le 20 volte inferiori rispetto a quelle normalmente utilizzate 50-60 anni fa, quando le piante si coloravano letteralmente di blu dopo ogni trattamento. Ciò stando per lo meno a uno studio pubblicato su Etude et Gestion des Sols, nel 2021, a nome Karimi B., Masson V., Guilland C., Leroy E., Pellegrinelli S., Giboulot E., Maron P.-A. et Ranjard L., dal titolo “La biodiversité des sols estelle impactée par l’apport de cuivre ou son accumulation dans les sols vignes? Synthèse des connaissances scientifiques”. In italiano: “La biodiversità del suolo è influenzata dall'input di rame o dal suo accumulo nei suoli dei vigneti? Sintesi della conoscenza scientifica”.
 
Per approfondimenti leggi il report originale:
Sintesi dell’ecotossicità del rame nei suoli viticoli

La metaanalisi è stata sviluppata attingendo alla letteratura internazionale per stimare l'eventuale impatto del rame sulla biodiversità dei suoli quando applicato alle attuali dosi agricole, considerando anche il suo accumulo nel terreno. Oltre 300 gli articoli presi in considerazione, sebbene solo 19 di questi siano stati considerati utili ai fini della ricerca.

Stando a questi 19 studi selezionati, l'attività microbica (citata in senso lato) diminuirebbe del 30% applicando una dose di 400 kg Cu++/ha/anno. Le popolazioni di nematodi rimarrebbero invece invariate fino a dosi di ben 3.200 kg Cu++/ha/anno. La riproduzione di collemboli e di vermi enchytreidi (anellidi oligocheti) diminuirebbe invece del 50% dopo l'applicazione, rispettivamente, di 400 e di 1.895 kg Cu++/ha/anno. Anche la biomassa complessiva dei lombrichi si ridurrebbe del 15% a fronte di un’applicazione di 200 kg Cu++/ha/anno. Infine, sempre stando ai ricercatori, se nei terreni si ha un contenuto di rame superiore a 200 kg/ha anche la respirazione microbica si ridurrebbe del 50%, ma non si vedrebbero effetti sui sopra citati collemboli.

La conclusione della ricerca è ovviamente prevedibile: sulla biodiversità del suolo il rame ha sicuramente un effetto negativo, ma solo quando si usino dosi almeno 50 volte superiori ai 4 kg Cu++/ha/anno attualmente autorizzati in agricoltura. Per tale ragione, secondo gli autori della review, l'applicazione di una dose di rame così bassa non dovrebbe sostanzialmente modificare la “qualità e le funzioni biologiche del suolo”. Testuale.
Ma è davvero così?
 

Un po' di tossicologia

Per una migliore comprensione dei dati citati possono essere utili alcuni dati tossicologici sul rame nei confronti di un organismo comune nei terreni, ovvero i lombrichi:
  • LC50 (Lethal concentration 50%) utilizzando ossicloruro di rame su lombrichi (Eisenia foetida): Test su 14 gg: >489,6 mg Cu++/kg di terreno.
  • NOEC (NO effect concentration) utilizzando ossicloruro di rame su lombrichi (Eisenia foetida): Test su 56 gg: <40,5 mg Cu++/kg di terreno.
Fonte: Copper oxychloride (herts.ac.uk)

I 400 kg/ha di rame, citati dal lavoro come dose più bassa, corrisponderebbero a 40 g/m2. Considerando solo i primi 20 centimetri di terreno, significa 0,2 m3 di suolo che a 0,7 ton/m3 di densità corrisponde a 140 kg. In sostanza, supponendo una distribuzione omogenea del rame nei soli primi 20 centimetri, si dovrebbero realizzare concentrazioni pari a circa 285 mg/kg di Cu++ già al primo anno. A patto ovviamente che di rame non ve ne fosse già in precedenza.

Supponendo quindi pure una concentrazione iniziale di rame pari a zero, già dopo un solo anno si supera di sette volte la soglia di non effetto (NOEC) per Eisenia foetida. Se però ogni anno si spargessero 400 chili di rame su un ettaro, entro un paio di stagioni soltanto si supererebbe pure il valore di LC50. Praticamente, in tali condizioni dovrebbe esserci una vera e propria strage di lombrichi.

Di fatto, con una dose di 4 kg Cu++/ha/anno si aggiungono (direttamente o indirettamente) circa 2-3 mg Cu++ per chilo di terreno (primi 20 cm). Tale dato può essere confrontato con quelli evidenziati da alcuni studi realizzati in Svizzera in diversi appezzamenti vitati (Pubblicazioni USTAT - DSS 2002-3 Ti.ch): nei primi 20 centimetri di suolo si sarebbero rinvenuti fino a 1.000 mg/kg di Cu++, senza poi mai scendere al di sotto del livello di NOEC per i lombrichi (<40,5 mg/kg/suolo) in alcuno dei campi indagati. Ciò in vigneti sottoposti a trattamenti rameici per lunghi periodi, rinvenendosi in media poco al di sotto dei 70 mg/kg nei primi 20 cm di terreno, a 57 mg/kg fra 20 e 40 cm e a 36 mg/kg a profondità di 40-60 centimetri. Segno che per quanto poco migri – e lo faccia lentamente – il rame lungo il profilo in qualche modo si sposta. In alcuni suoli vi è quindi già oggi una concentrazione di rame che potrebbe risultare nociva, per lo meno sui lombrichi. Ergo, per quanto poco se ne aggiunga per stagione, siamo già in una condizione che non può più essere trascurata, soprattutto da chi abbia fatto bandiera della difesa dell'ambiente e della biodiversità.

Si mediti quindi su tali dati quando verranno pubblicati i soliti articoli-fotocopia su degli agrofarmaci di sintesi rinvenuti nel terreno di frutteti e vigneti, magari a livello di microgrammi per chilo di suolo. Prassi ormai abituale, quella di pompare allarmismo chemofobico, che continua ad avvelenare, lei sì, il clima intorno all'agricoltura. Una chemofobia immotivata che è solo questione di tempo prima che fagociti anche il rame, con buona pace di chi credeva con l'allarmismo anti-pesticidi di danneggiare solo le molecole degli "altri". 
 

Conclusioni

Diverse le considerazioni conclusive che si possono quindi trarre dallo studio pubblicato in Francia:
1) in parte si concorda con gli autori: usare dosi palesemente fuori scala di decine di volte rispetto a quelle reali è prassi deprecabile, poiché permette di manifestarsi a effetti nefasti che nella pratica non si verificano;
2) per contro si deve ricordare ai ricercatori francesi che l’approccio metodologico da loro stessi contestato, di fatto, è il medesimo grazie al quale sono costantemente criminalizzate sostanze attive di sintesi di comune utilizzo in agricoltura, senza che alcuno degli autori delle pubblicazioni si periti mai di ricordare che le dosi impiegate nei loro esperimenti sono decine, centinaia e a volte migliaia /milioni di volte quelle reali. Ciò trasferisce messaggi assolutamente fuorvianti a stampa, politica e opinione pubblica. Un danno che sarà sempre tardi quando l’editoria scientifica si renderà conto essere suo preciso dovere arginare.

Nel caso di agrofarmaci di sintesi, infatti, nessuno pare sentirsi in obbligo di spiegare la differenza astrale fra le dosi sperimentali adottate, spesso assurde, e le dosi agronomiche oggettivamente distribuite. 

Per quanto si auspichi quindi lunga vita al prezioso metallo, vista anche la recente revoca di mancozeb, meglio sarebbe rimanere laici nelle valutazioni ecotossicologiche, evitando di sposare o di omettere l’approccio numerico-scientifico a seconda delle sostanze attive e delle convenienze in questione.

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