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Bioagrofarmaci, mercato in crescita ma la burocrazia tarpa loro le ali

Cosa sono, come sta il mercato e qual è la loro normativa di riferimento. Se ne è parlato nel corso di un incontro di avvicinamento a Coltivato 2025

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Ci sono centocinquanta bioagrofarmaci pronti per andare in commercio, sono state identificate le molecole, valutati tutti gli effetti nocivi, comprovata la performance ma la burocrazia li sta bloccando (Foto di archivio)

Fonte immagine: © Djomas - Adobe Stock

Il tasso annuale di crescita del mercato globale dei bioagrofarmaci fino al 2030 è del 13,6%. I bioagrofarmaci arriveranno a valere poco meno di 13 miliardi di dollari a fine periodo. Il dato è stato fornito da IBMA Italia, associazione internazionale di produttori per il biocontrollo che conta duecento aziende circa associate in Europa, durante un evento dello scorso 14 ottobre che si è tenuto a Torino, in avvicinamento alla seconda edizione del Festival Coltivato. A fare la parte del leone, secondo la ricerca che è però datata 2022, sono bioinsetticidi e biofungicidi, d'altra parte non c'è bisogno di farlo notare a chi coltiva, il tasso di uscita delle molecole chimiche utilizzabili è sempre più veloce.

 

L'incontro divulgativo organizzato da Coltivato e Federchimica Agrofarma e in collaborazione con IBMA Italia, appunto, il Centro Agroinnova e weTree era intitolato "L'eredità di Rachel Carson nella difesa delle colture" e ha approfondito, con i diversi interventi, la possibilità di avere alternative valide alla chimica, vista la necessità di prendere atto delle indicazioni politiche che arrivano da Bruxelles e che spingono verso la riduzione dei prodotti chimici di sintesi.

 

La storia del bromuro di metile, un fumigante largamente utilizzato in passato per la disinfestazione del terreno ed incluso nel Protocollo di Montreal fra le sostanze responsabili della distruzione della fascia d'ozono, è stata assunta come emblematica. "È la storia di ogni prodotto - ha detto Maria Lodovica Gullino, professoressa, responsabile scientifico di Coltivato - quando sorgono dei problemi dobbiamo essere pronti ad affrontarli e a sostituire il prodotto. Oggi certamente il lavoro degli orticoltori è più complesso, occorre una buona assistenza tecnica, preparazione e la capacità di saper combinare tutti i mezzi a nostra disposizione. D'altra parte i cicli di vita dei prodotti vanno accettati. Il bromuro di metile era perfetto per gli Anni Cinquanta, i problemi vanno affrontati e allo stesso tempo nessuno deve essere demonizzato".

 

Le molecole a disposizione degli agricoltori si riducono anche perché il tempo per far arrivare sul mercato un nuovo prodotto è molto aumentato, così come i costi da sostenere per l'industria. "Un tempo - ha detto Renzo Pedretti di Agrofarma - ciò che era importante era l'efficacia di un nuovo agrofarmaco, oggi gli studi richiesti dalla normativa sono moltissimi. Lavoriamo sul profilo tossicologico, sull'impatto ambientale per esempio. Per quanto riguarda i costi, se nel 1995 il costo per portare un nuovo prodotto alla registrazione era di 152 milioni di dollari, oggi si sfiorano i 300 milioni, e di questi 107 milioni sono per la ricerca. Vanno scandagliate centinaia di migliaia di molecole (per la precisione in media 159.574, Ndr) e il tempo per arrivare alla commercializzazione si è allungato fino a dodici anni".

 

Guardando ai dati mostrati da Agrofarma, se negli Anni Novanta si è arrivati a introdurre più di centoventi nuove sostanze attive, negli Anni Dieci ne sono state introdotte appena quaranta. Gli investimenti necessari, sempre secondo dati mostrati da Agrofarma e di fonte CropLife International, per soddisfare tutte le richieste normative sono cresciuti del 200% dal 2000 al 2014. "Le nostre aziende oggi - ha puntualizzato Pedretti - non sono più aziende che sviluppano solo agrofarmaci. Guardiamo a soluzioni biologiche, all'agricoltura di precisione, alle biotecnologie. Siamo passati da aziende prodotto-centriche a soluzione-centriche. La cassetta degli attrezzi dell'agricoltore deve essere il più ricca possibile e il cambio di marcia verso una difesa integrata è qualcosa che è venuto da sé".

 

Focus sui bioagrofarmaci

 

Bioagrofarmaci dunque: a fare il punto della situazione c'era Andrea Bosi di IBMA Italia. "I bioagrofarmaci - ha spiegato Bosi - sono prodotti di origine biologica naturale per la protezione delle colture, dei terreni, della salute pubblica contro parassiti e patogeni. Sono raggruppati in base all'azione specifica sulla pianta e sul suolo in fungicidi/battericidi, insetticidi/acaricidi, nematocidi, erbicidi".

 

Ne fanno parte macrorganismi, quindi insetti utili, acari e nematodi, microrganismi che competono con agenti patogeni o controllano le malattie delle piante, sostanze naturali come estratti vegetali, minerali e semiochimici, ad esempio i feromoni. I bioagrofarmaci sono normati dal Regolamento CE 1107 del 2009, come i classici agrofarmaci di sintesi (ad esclusione dei macrorganismi). Proprio il fatto che i bioagrofarmaci sottostanno allo stesso iter dei prodotti fitosanitari classici, per IBMA è un collo di bottiglia. "Abbiamo un tasso di uscita di molecole chimiche - ha detto - molto più veloce rispetto all'entrata e ciò disincentiva gli investimenti sul mercato Ue. Per registrare un prodotto di biocontrollo in Europa ci vogliono otto-dieci anni, mentre in altri continenti bastano uno-due anni. I tempi così allungati fanno sì che quando il prodotto arriva sul mercato, le condizioni siano cambiate, pensiamo per esempio al cambiamento climatico". Andrea Bosi ha poi sottolineato che ci sono centocinquanta bioagrofarmaci pronti per andare in commercio, sono state identificate le molecole, valutati tutti gli effetti nocivi, comprovata la performance ma la burocrazia li sta bloccando.

 

Durante l'evento, il professore Massimo Pugliese dell'Università di Torino ha portato l'esperienza del gruppo di ricerca di cui fa parte, sottolineando anche le difficoltà cui ci si trova davanti quando si mettono alla prova a pieno campo prodotti studiati in condizioni di laboratorio. Focalizzando sui microrganismi, "con la lotta biologica - ha spiegato il professore Pugliese - i microrganismi, attraverso diversi meccanismi e interazioni con l'ambiente e con le piante, riducono gli effetti dei patogeni".

 

Le prime ricerche del gruppo di Torino risalgono alla fine degli Anni Ottanta, il gruppo di ricerca lavorò su Trichoderma harzianum T-22. "C'era l'esigenza - ha raccontato ancora il professore - di ridurre l'impiego di fitofarmaci contro la muffa grigia, non tanto per questioni normative ma per avere uno strumento in più da inserire in strategie antiresistenza". Dagli Anni Ottanta del secolo scorso sono stati pubblicati migliaia di studi scientifici che riguardano la lotta biologica, ma i microrganismi utilizzabili per la lotta biologica a patogeni vegetali, registrati secondo il Regolamento 1107/2009 sono solo ventitré.

 

"C'è una crescente richiesta anche per la necessità di rispondere alle esigenze di minimizzare i residui, servono poi sostanze che possano sostituire prodotti di sintesi che rischiano di non essere rinnovati e bisogna fare attenzione alle resistenze. Il problema però è trovare mezzi di lotta altrettanto efficaci come quelli di sintesi e servono finanziamenti. La vera difficoltà però - ha spiegato Massimo Pugliese - è portare le soluzioni trovate a pieno campo e fare in modo che queste siano veramente utilizzabili dalle aziende agricole, spesso i risultati sono inferiori alle aspettative. Molto spesso si tratta di combinare più mezzi di lotta e bisogna capire le interazioni fra i diversi mezzi. C'è ancora bisogno di approfondimento. Ci sono aspetti relativi alla formulazione. Molto poi è stato fatto nella scoperta di nuovi mezzi di lotta, ma ancora poco nell'individuare i metodi per monitorare il ceppo antagonista quando viene applicato in campo, non abbiamo quindi gli strumenti per capire se sopravvive nel lungo periodo".

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