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Rogna dell'olivo, trinciare o bruciare i residui di potatura?

La diffusione della rogna dell'olivo può essere facilitata dalla pratica di trinciare i residui di potatura, mentre la bruciatura, quando permessa, consente un abbattimento dell'inoculo

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La rogna dell'olivo è causata da un batterio che penetra dalle ferite nella corteccia

Fonte immagine: Matteo Zucchini - Università Politecnica delle Marche

Questo inverno, il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri, ha chiesto alla regione di sospendere il divieto di bruciare i residui di potatura degli olivi in campo, una pratica vietata per ragioni ambientali, che tuttavia ha il grande pregio di eliminare patogeni e insetti che nel legno si annidano.

 

In particolare, la rogna dell'olivo è causata da un batterio, Pseudomonas savastanoi, che penetra nei tessuti vegetali attraverso le ferite e lì si moltiplica, causando la formazione di cancri che portano ad un deperimento della pianta.

 

Il fatto di abbandonare in campo i residui di potatura e di trinciarli può aumentare il rischio che la malattia si diffonda in oliveto. Se infatti il legno viene sminuzzato e non interrato, il batterio si può diffondere con più facilità, insediandosi nelle ferite di potatura o causate da agenti atmosferici. Al contrario, la pratica di bruciare le ramaglie consente di eliminare il patogeno, come anche alcuni insetti dannosi, quali il fleotribo.

 

Per capire i pro e i contro di questi due approcci, è bene però fare un passo indietro e comprendere la biologia di P. savastanoi e il modo con cui infetta le piante.

 

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Come il batterio infetta le piante

Pseudomonas savastanoi fa parte della popolazione microbica che vive sulla superficie delle piante senza provocare danni, ma quando si verificano ferite causate da potature, grandinate o gelate, il batterio penetra all'interno dei tessuti vegetali attraverso queste aperture. Trasportato dall'acqua piovana o dal vento, il batterio si insedia nei tessuti vegetali, stimolando una produzione abnorme di cellule che porta alla formazione di tubercoli, i caratteristici cancri della rogna.

 

Le condizioni climatiche giocano un ruolo cruciale nella diffusione della malattia: temperature comprese tra i 20 e i 25°C, un'elevata umidità e la bagnatura prolungata degli organi vegetali favoriscono l'infezione e la sua propagazione all'interno dell'oliveto, rendendo le stagioni autunnali e primaverili periodi critici per lo sviluppo della malattia.

 

La rogna dell'olivo si manifesta con la formazione di noduli inizialmente verdi e lisci sui rametti, sulle branche e sul tronco, che con il tempo diventano grigiastri e rugosi, aumentando progressivamente di dimensioni fino a confluire e interessare intere porzioni del ramo. Queste formazioni compromettono il flusso linfatico della pianta e portano a un indebolimento generale, causando disseccamenti dei rami colpiti, riduzione della produzione e frutti di pezzatura ridotta.

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Metodi di difesa dell'oliveto

Il contenimento della rogna dell'olivo si basa principalmente su strategie agronomiche preventive e su interventi tempestivi in caso di condizioni predisponenti. È fondamentale utilizzare cultivar poco suscettibili e attuare potature equilibrate, riducendo al minimo le ferite sui rami. Inoltre, è sempre bene disinfettare gli attrezzi di potatura tra una pianta e l'altra, per evitare la diffusione del batterio, come anche applicare soluzioni antibatteriche (ad esempio a base rame) sulle ferite.

 

Dopo eventi meteorici avversi o la raccolta meccanica con l'abbacchiatore, che provoca numerose ferite sui rami, è consigliabile effettuare trattamenti rameici tempestivi per ridurre la carica batterica e proteggere le ferite, limitando l'ingresso del patogeno.

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Trinciare o bruciare i residui di potatura?

Quando si effettua la potatura è sempre bene eliminare i rami interessati dallo sviluppo dei cancri, in modo da salvaguardare il resto della pianta e stimolare la formazione di nuova vegetazione.

 

Per restituire al suolo sostanza organica, in molti oggi consigliano la trinciatura dei residui di potatura che, rimanendo al suolo, vanno incontro ad un processo di decomposizione che consente di ridare al terreno una parte dei nutrienti sottratti dalla pianta nella fase di crescita.

 

Tuttavia la semplice trinciatura può avere un effetto negativo sulla diffusione della rogna. Come abbiamo visto, P. savastanoi non riesce a penetrare attivamente i tessuti legnosi, ma sfrutta le ferite causate dalle pratiche colturali o da fenomeni atmosferici violenti. La presenza dei residui al suolo, per di più sminuzzati, aumenta la diffusione del patogeno e quindi le probabilità che riesca a colonizzare nuovi rami.

 

Al contrario, la bruciatura dei residui risulterebbe efficace nell'abbattimento dell'inoculo, riducendo il rischio di nuove infezioni. Questa pratica è però espressamente vietata dall'Ecoschema 3, dedicato alla salvaguardia degli oliveti tradizionali. La norma prevede infatti il "divieto di bruciatura in loco dei residui di potatura, salvo diversa indicazione da parte delle competenti autorità fitosanitarie".

 

Se non si aderisce a tale Ecoschema, in linea generale l'agricoltore può bruciare le ramaglie, purché in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a 3 metri cubi per ettaro, facendo attenzione, ovviamente, a non causare incendi e a non arrecare danno a cose o persone.

 

Attenzione però, perché i comuni o le regioni possono derogare a questa regola generale e imporre vincoli più stringenti. È sempre bene dunque informarsi presso le amministrazioni competenti per evitare di incorrere in multe.

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