Val d'Adige: il mondo mela ancora sotto accusa
Sul web è in corso una petizione contro la chimica agraria impiegata dai melicoltori trentini e altoatesini, paventando danni ad ambiente e salute. Meglio analizzare punto per punto la situazione
Melicoltori sotto attacco in Alto Adige (Foto di archivio)
Fonte immagine: © Nitr - Adobe Stock
"La situazione è grave, ma non è seria" è solo uno dei tanti aforismi coniati dal giornalista e scrittore Ennio Flaiano (1910-1972), commentatore degli avvenimenti italiani degli anni '50 e '60. Tale aforisma viene oggi di norma usato per descrivere un contesto il quale, pur apparendo preoccupante, manca di serietà, nel senso che può essere trattato anche con una buona dose di ironia.
Per esempio, è notizia recente quella di una raccolta firme voluta dal Gruppo Volontari Stop Pesticidi Alto Adige/Südtirol per mettere al bando i "[...] pesticidi più pericolosi utilizzati in regione nella coltivazione delle mele" (cit.). Stando all'articolo, per gli attivisti questi prodotti comporterebbero infatti un "[...] caro prezzo per la salute pubblica delle persone e del pianeta" (cit.).
Le 1.700 firme raccolte al momento in cui si scrive l'articolo mirano a fare pressione sui consorzi di agricoltori che producono le mele del Trentino e dell'Alto Adige e sugli assessori all'Agricoltura e alla Salute delle due province autonome.
Storie già viste, ma sempre nuove
Negli anni in cui operava Flaiano l'agricoltura stava muovendo passi decisi verso le nuove frontiere aperte dalla chimica antiparassitaria e nutrizionale, aumentando le rese a ritmi impensabili fino ad allora e riuscendo in tal modo a soddisfare una domanda di cibo anch'essa in crescita vertiginosa. Furono operati degli eccessi in quegli anni di sviluppo turbolento della chimica agraria? Sì, indubbiamente. È così ancora oggi? No. Secco.
Oggi l'agricoltura è lontana anni luce da quella di allora, basandosi su razionali protocolli di gestione integrata delle colture che impediscono abusi dei mezzi di produzione, anche perché costano e nessun agricoltore ama buttare soldi dalla finestra. A conferma, dal 1990 a oggi sono calate del 60% le tonnellate impiegate in Italia delle sostanze attive ad azione fitosanitaria (i "pesticidi", per essere chiari anche agli occhi dei profani del settore).
Oggi se ne adoperano meno di 40mila tonnellate. Per la precisione 39.570 secondo Faostat. Ciò corrisponde a 0,67 chili pro capite se riportato all'attuale popolazione italiana. Un nulla rispetto al complesso universo di sostanze chimiche che giungono alla popolazione per via diretta o indiretta a causa del quotidiano svolgimento delle più banali attività umane. Solo che le contaminazioni dovute a queste attività spesso non si vedono, gli agricoltori che trattano i frutteti sì. E come si sa, il cuore duole solo se l'occhio vede. E se l'occhio non vede, anche il cuore se ne sta in pace.
La difesa del melo: materia complessa
Gli agricoltori trentini e altoatesini sono forse dei pazzi inquinatori? Niente affatto: seguono disciplinari rigorosi, basati su indicazioni tecniche fornite da reti coordinate che operano in modo capillare sul territorio. Nessun trattamento sfugge al controllo delle persone preposte, scegliendo e dosando i prodotti in modo oculato e applicandoli se e quando necessario, solo se e quando necessario, esclusivamente se e quando necessario.
Vengono eseguiti 25 trattamenti all'anno sui meli? Sì, in anni difficili non è impossibile arrivare a quel numero. Del resto, i meli vanno protetti da quando emettono i primi mazzetti di vegetazione, momento in cui vengono attaccati dall'afide grigio (Dysaphis plantaginea), poi in post-fioritura quando arrivano gli afidi verdi (Aphis pomi).
Questi due afidi sono in buona compagnia, poiché da quel momento le piante vanno protette dagli attacchi dei Tortricidi ricamatori (più specie presenti) e dalla temutissima Carpocapsa (Cydia pomonella), parassita chiave del melo. Più varie et eventuali, come Cydia molesta, minatori fogliari e chi più ne ha più ne metta. E qualche acaro parassita non lo vogliamo considerare?
Sul fronte delle patologie regna sovrana la ticchiolatura (Venturia inequalis), la quale approfitta di ogni pioggia per spargere spore e colonizzare foglie e frutti se non adeguatamente contrastata, guarda caso, dai "pesticidi". E mica c'è solo lei: c'è anche oidio (Podosphaera leucotricha), cancro (Nectria galligena), alternariosi (Alternaria mali) più i vari patogeni i cui danni si vedranno per lo più in post-raccolta.
Disclaimer: ci si scusa con eventuali parassiti e patogeni omessi per questione di sintesi.
Quindi gli interventi possono spaziare da marzo a settembre inoltrato, per lo meno su varietà medio tardive o tardive. Si va dai sei mesi di lotta, nei casi migliori, ai 7-8 mesi nei casi peggiori. Se qualcuno degli attivisti altoatesini ha metodi di controllo tali da essere applicati 3-4 volte l'anno, ben vengano. Ma che siano efficaci, altrimenti si sta friggendo con l'acqua.
E chissà cosa pensano, gli attivisti, delle varietà modificate geneticamente per resistere da sé a malattie e parassiti, poiché la genetica potrebbe sostituire gran parte della chimica agraria se soltanto il mondo green non la osteggiasse con pari veemenza. Misteri del fronte pseudo ecologista.
Tanti chili, ma c'è un perché
In Val d'Adige, sui meli, si adoperano più chili di antiparassitari rispetto alla media italiana? Sì, per forza: per portare a casa il raccolto a un cerealicoltore marchigiano può anche bastare un diserbo e un fungicida. Mica però è un drago lui: al frumento basta quello. Per gli stessi motivi, il melicoltore è obbligato a intervenire molto più frequentemente, se no niente mele.
Un solo trattamento con polisolfuro di calcio in pre fioritura implica più di venti chili di prodotto applicato per ettaro. Una cifra sufficiente già di per sé a far schizzare verso l'alto i quantitativi impiegati all'anno. Ed è un prodotto ammesso in agricoltura biologica, giusto per informazione.
Richieste prive di senso
La richiesta di mettere al bando i "[...] pesticidi più pericolosi utilizzati in regione nella coltivazione delle mele." (cit.) ha davvero poco senso, poiché ci pensa già la Revisione Europea a mettere al bando (aka revocare) le sostanze attive che non corrispondano più alle "mutate sensibilità ambientali" della politica comune europea. Un processo, questo, che per ritmi e criteri adottati ha ormai assunto la connotazione di un vero e proprio fuoco sacro, mettendo in braghe di tela la fitoiatria europea e nazionale a favore di patogeni e parassiti il cui controllo sta assumendo toni sempre più rocamboleschi.
Inoltre, i disciplinari stessi di produzione selezionano i prodotti dai profili ambientali e tossicologici più favorevoli. Qualcuno non è così favorevole? Vero, ma senza di quelli addio mele. Quindi sarebbe meglio guardare al bersaglio grosso, ossia i disciplinari nella loro interezza, anziché puntare il mirino su uno o due prodotti poco graditi scorporati da tutto il resto.
Quanto infine al "[...] caro prezzo per la salute pubblica delle persone e del pianeta." (cit.). su AgroNotizie se ne è già parlato, realizzando e mettendo a disposizione un documento alquanto ampio e dettagliato sulle statistiche sanitarie dell'Alto Adige e di altre province considerate ad alto rischio a causa dei prodotti impiegati nella difesa fitosanitaria. Poiché ripetersi è solo una perdita di tempo, si rimanda alla lettura del report stesso, sempre valido.
Si attendono risposte solide e decise
Non si sa al momento se e come reagirà il mondo agricolo a questo ennesimo attacco. Si spera solo che agricoltori e istituzioni sappiano gestire al meglio le rimostranze di queste pugnaci e rumorose minoranze. Hanno tutti gli elementi scientifici e comunicativi per poterlo fare: che quindi li usino saggiamente e rimandino al mittente anche queste, ennesime, accuse. Poiché, come appunto soleva dire Ennio Flaiano, anche questa situazione è ormai divenuta grave, ma non è più seria.